PROVE D’AUTORE (PER MANO SINISTRA) (XVII)

di Antimo Mascaretti

L’idea di una possibile “riunificazione” delle arti, attraversa l’animo degli artisti da tempo immemore e con esiti disparati. Possiamo annoverare tra questo genere particolare di artisti anche John De Cesare che assume la scrittura sintetica, il segno convenzionale della partitura musicale, ma anche di più prosaici diagrammi statistici, come base per l’ideazione di una nuova estetica. Da un segno, un linguaggio, ad altri segni, fino a rappresentare la musica nella sua dimensione spazio-temporale in maniera visibile, quasi si trattasse di una pittura o una costruzione architettonica.

La pittura, il disegno, non nasce dalla semplice suggestione visiva di immagini suggerite o evocate dalla musica, ma è la stessa partitura musicale che diventa, attraverso una metodologia appositamente inventata, il soggetto di un’opera nuova, ma non meno suggestiva.

De Cesare era nato a Palermo nel 1890, ma già a cinque anni era negli Stati Uniti con la sua famiglia. A New York studierà scultura alla Cooper Union Art School.

La Zoning law, il piano regolatore del 1916, prescriveva, per consentire evidentemente la penetrazione della luce nelle strade, l’arretramento dei piani superiori nelle costruzioni edilizie, ma non poneva restrizioni di sorta circa l’altezza degli edifici. Ciò significò un vero boom, in pochi decenni, nella costruzione di grattaceli funzionali ad una città che, di fatto, era già il centro del mondo finanziario.

Strutture d’acciaio e cemento armato consentirono la realizzazione di ardite costruzioni secondo lo stile allora in voga che era l’Art Déco che, come è noto, utilizzava decorazioni molteplici attraverso l’uso combinato di vari materiali: pietra, ceramica, vetro, metallo, etc.

De Cesare entrò presto a far parte di un importante studio d’architettura, i cui soci, gli architetti McKenzie, Stephen Voorhees e Paul Gemlin, ebbero l’incarico della realizzazione dell’edificio destinato ad essere sede centrale della Compagnia Telefonica di New York, nell’isolato tra Barclay e la Vasey Street, nel Lower Manhattan.

De Cesare ebbe l’incarico di decorare quella che fu stimata la prima importante costruzione in stile Art Déco degli Stati Uniti.

Il progetto fu dell’architetto Ralf Walker, a quel tempo, il socio più giovane dello Studio.

La realizzazione di quell’edificio suscitò grande clamore ed un enorme successo così la collaborazione tra De Cesare e Walker finì per durare oltre venti anni.

Altre importanti commesse seguirono al Barclay – Vasey Building, come l’Irving Trust Building, al numero 1 di Wall Street (1929-1932). De Cesare decorò persino l’Empire State Building (1927-1929), nei suoi pochi ornamenti previsti dal progetto.

Verso la fine degli anni ’40 però, De Cesare abbandonò improvvisamente la sua attività, di grande successo, di scultore-decoratore. La trasformazione tecnologica dell’uso dei materiali con l’introduzione di una sottile struttura metallica incastonata di vetrate, secondo il nuovo stile detto “International Style”, prese piede rapidamente, e lo spazio per le decorazioni si restrinse, fino a scomparire repentinamente. De Cesare si ritirò da allora a vivere in disparte, e fino alla morte, avvenuta nel 1972, si dedicò al suo non comune progetto di una “visione” concreta della musica sotto forma d’opera figurativa o di architettura. Che questo progetto fosse profondamente radicato nella sua anima, lo prova l’elaborazione di un piccolo saggio: “The Theory of Visual Space in Music” ed in seguito, la redazione di un catalogo accurato: “List of Studies and Memorandum Notes of Exploratory Design Experiments”, che annovera 250 disegni ritenuti dall’autore i più efficaci ed essenziali per il progetto.

Il concetto di spazio musicale era il centro delle ultime ricerche di De Cesare, ma il nostro scultore partì da molto lontano, utilizzando dapprima diagrammi statistici pubblicati su riviste come ad esempio il rapporto ventennale della General Foods Corporation, fino ad ideare una torre commemorativa del ponte aereo che servì a rifornire di viveri la città di Berlin dopo la seconda guerra mondiale (Berlin Airlift Memorial Tower), in stile però ancora Art Déco che De Cesare conosceva assai bene.

Agli inizi degli anni ’50, comincia ad essere preminente in De Cesare l’interesse per le partiture musicali.

Trasformare una musica in un grattacielo è impresa singolare che merita ammirazione e simpatia. E’ il volo di Icaro in chiave di decorazione progettuale. De Cesare aggiunge un capitolo all’architettura progettuale sommando l’armonia della musica e le sue emozioni, trasformate in tre dimensioni. Può sembrare a prima vista una bizzarria, ma cosa non passa per bizzarria in arte? Nella sua “Teoria dello spazio visuale nella musica”, De Cesare inventa un codice in cui le note (il tempo, la durata, estensione delle stesse), sono rappresentate da nuovi segni grafici, colorati diversamente secondo il loro rapporto nella partitura presa in esame, e secondo la chiave che interpretano. In tal modo le varie parti di una composizione si trovano simultaneamente rappresentate su un fitto reticolato decorativo di fondo. Questa “trasmutazione” ovviamente è del tutto arbitraria, pur mantenendo con esattezza le proporzioni matematiche dei rapporti musicali. Il sistema dei segni che De Cesare s’ingegna ad inventare, lo conduce a progettare curiosamente edifici che appaiono con le caratteristiche note dello stile Art Déco, segno che l’intenzionalità finisce per prevalere sull’oggettività matematica dei segni, ed anche sull’elaborazione fantastica. Le composizioni prese in esame sono varie e distanti tra loro per valore e sul piano cronologico, ciò che per De Cesare conta è l’effetto finale di rappresentazione.

Still Nacht di Franz Gruber, “Ninna nanna” di Johannes Brahms, la quinta sinfonia di Beethoven o la Walkiria di Richard Wagner fino a “The star Spangled Banner”, l’inno americano, sono alcune delle composizioni “raffigurate” graficamente come opere di pittura da De Cesare, o trasformate in suggestivi progetti di edifici disegnati minuziosamente con matite colorate. Naturalmente è impossibile seguire De Cesare sulle tracce del suo sogno. Non è dato sognare entrando nel mondo onirico di un altro essere, meno che mai se si tratta di un sogno d’artista. In più, a che servirebbe?

Ci fu un periodo, qualche anno fa, che sulla suggestione della teoria di De Cesare, mi venne in mente di tentare di dare concretezza plastica e pittorica ad elaborati di fisica teorica. Presi in esame: “Diffusione della luce solare da parte dell’atmosfera” da una lezione universitaria di Ettore Majorana, il geniale fisico italiano scomparso nel nulla misteriosamente. In quegli anni, eravamo negli anni ’70, Leonardo Sciascia aveva scritto un emozionante e bellissimo libro sulle vicende esistenziali di Majorana.

“Dare corpo e colore” alla fisica è certamente realizzabile trasformando gli equivalenti grafici dei rapporti matematici espressi dalle formule in maniera del tutto soggettiva, trasformandoli in altri codici colorati. L’enorme difficoltà, per chi è digiuno di fisica teorica, come nel mio caso, nel districarmi tra le varie formule, mi fece desistere dall’impresa che però resta teoricamente una via di esplorazione del vero in chiave grafica del tutto legittimo e fattibile.

C’è nella natura minuziosamente osservata, un’armonia che a noi appare espressa in rapporti matematici costanti. Forse siamo capaci solo, per limitatezza oggettiva, di una simile lettura nel nostro grado di evoluzione, oppure cogliamo quei rapporti perché la matematica è il linguaggio che più si adatta al mistero della stessa natura, un linguaggio comunemente noto ed accettato. Se la natura ha una nascosta anima matematica, può esistere una “musica della natura”, una musica che può nascere dall’interpretazione dei vari fenomeni secondo i codici adottati per la trascrizione delle partiture.

Così ugualmente può essere per la fisica e la trasformazione delle formule può dar luogo a sospendere, in un’opera grafica, un momento del costante divenire delle infinitesime particelle di materia, e rivelarne così una bellezza ora invisibile ai più, bellezza presente in tutte le cose esistenti.

E’ compito dell’arte creare continuamente nuovi codici rappresentativi della bellezza, e su questa via si troverà in perfetta armonia con l’indagine scientifica finalizzata alla conoscenza.

Nel tempo mi sono persuaso che altre forme di conoscenza sono possibili inoltrandosi in una dimensione che si muove in direzione contraria all’indagine scientifica dell’osservazione naturale. E’ la via che ci permette di interpretare il disagio e lo sgomento che si prova nell’essere soli al mondo, inseriti nella natura che non comprendiamo appieno, sgomento dell’essere vivi e di non conoscere che pochissimo dell’essenziale.

Sgomento comune ma che non può avere pretesa alcuna di oggettività, come un vento ci travolge, ci frastorna con suggerimenti oscuri di possibili tentativi di risposta, per altro mai adeguati e rispondenti alla nostra anima affamata di verità.

De Cesare è stato pioniere nell’analisi convenzionale dei segni grafici, nelle possibili trasformazioni dei linguaggi in realizzazioni estetiche. Ha aperto una via che altri hanno seguito e seguono, e ancora seguiranno con risultati non ancora ipotizzabili.

L’importante è non ricercare in maniera vana, per gioco o per scopo puramente intellettuale. L’arte necessita di componenti che non vanno mai escluse dalle nostre sperimentazioni, altrimenti potremo compiacerci forse della nostra bravura ma senza raggiungere il risultato sperato.

Chi volesse “guardare” la musica nella metamorfosi grafica e progettuale, dovrà sostare al Cooper-Hewitt, Smithsonian Design Museum di New York, e perdersi per un attimo nel silenzio che lo svanire del suono apre ogni volta all’anima, un abisso insondabile, un vuoto che sentiamo nella concreta dimensione della profondità che perennemente ci attrae. La sensazione è che il dialogo è stato interrotto improvvisamente, ma non può certo dirsi concluso.

Forse nuovi segni per evocare la bellezza non erano allora ancora comprensibili e domani magari lo saranno, o può darsi, nella loro assoluta fiducia matematica, non erano del tutto adeguati. Io continuo a ripetere che l’arte non è solo talento e manualità. Da molto tempo, Pascal e Antoni Gaudì mi invitano ad una stringente riflessione. Pascal come ha scritto Albert Camus, mi travolge ma non converte, apre tuttavia ad ogni lettura, abissi di profondità dove è facile perdersi con il pensiero. Gaudì è l’esempio di come l’arte moderna quando non perde di vista l’essenziale, cioè l’uomo, possa toccare vertici difficilmente raggiungibili. Occorre molto studio, dedizione e molta generosità, la sola sperimentazione finisce per essere un gioco vano, dopo un po’ la trovata cade nelle crepe del tempo, superata e vecchia. Vale la pena tuttavia tentare, se si ha abbastanza coraggio, perché fallire in arte e molto più facile che arrivare alla meta. Provare, per chi sente di doverlo fare, vale sempre la pena, è come un grido disperato in opposizione all’aridità e al nulla che costantemente ci minaccia.

(continua)

21/02/2018, Antimo Mascaretti

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