AFFABULAZIONE ATTORNO A PASOLINI (II)

di Antimo Mascaretti

Purtroppo, per economia di spazio, dobbiamo tener dietro alla parte più viva del lavoro del poeta. Dovremo dunque scegliere dove è più opportuno indirizzare la nostra indagine.

Si tratta di una scelta ardua, perché la complessità dell’opera di Pasolini è tale che ha oggettivamente pochi riscontri nella letteratura italiana.

Credo sia molto importante intanto soffermarci sui diversi mutamenti che l’opera di Pasolini ha subito negli anni.

Non mancherebbe di interesse approfondire il periodo friulano, durante la seconda guerra mondiale, in cui Pasolini mostra la sua grande passione di pedagogo, mettendo su una piccola scuola privata assieme alla madre (che si occupava dei bambini più piccoli, mentre il poeta insegnava agli allievi in età di scuola media e di liceo). Le prime poesie in lingua friulana, il periodo del “frèlibrisme” e della “Academiuta di lenga furlana”. Ma a noi in questa sede, interessa di più evidenziare lo stato d’animo con il quale il poeta, ad un punto cruciale della sua esistenza, in seguito allo scandalo per accusa di corruzione di minori e omosessualità, decide, d’accordo con la madre, che mal sopportava in casa la tirannia del marito, di fuggire a Roma. Il poeta giunge a Roma con pochi mezzi economici, colpito nella sua intimità da insofferenze e prevaricazioni, deluso persino da quel partito comunista che non aveva esitato un attimo nel prendere la decisione della sua espulsione. Si trattava di ricominciare tutto da capo. Di estrazione borghese, un privilegio di classe che il poeta sentiva come una ferita, aveva aderito al PCI per sintonia con i valori della Resistenza, quei valori per i quali il fratello Guido era morto (ucciso però dagli stessi partigiani comunisti in accordo con gli slavi di Tito). La scoperta di Marx, e poi quella di Gramsci, lo aveva orientato fino a quel momento, ma ora a Roma, di fronte alla rivelazione delle periferie e del sottoproletariato emarginato, la sua già sofferta ideologia entra in una crisi profonda. Per una scelta viscerale, il poeta affronta il reale con tutta la passione di cui e capace. Testimoniano quella sua prima crisi trasformata in opere feconde i due romanzi “Ragazzi di vita” e poi “Una vita violenta” che ne fanno un caso letterario internazionale, mentre in poesia, l’opera “le ceneri di Gramsci” sono un momento altissimo di qualità poetica decisamente nuova e atipica, anche per il verso scelto, nel panorama della poesia di quegli anni in Italia. L’incontro con la realtà della capitale, acuisce la sua crisi e si evidenzia dagli scritti di quel periodo una completa sfiducia, che sarà da allora progressiva, su una qualunque possibilità di cambiamento politico di fronte al dilagare di quel neo-capitalismo che inizierà ad essere pervasivo e che già stava producendo un vero “mutamento antropologico” del popolo trasformando un mondo arcaico, semplice di valori primordiali, in un mondo di “consumatori” omologati.

“ L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, conformismo” (sembra di vedere un programma della D’Urso o di Maria de Filippi…)

“ In questi anni l’insofferenza totale per la borghesia ha assunto caratteri estremi: mentre la mia simpatia è attratta verso quei luoghi e quelle anime dove si veda contraddetto in qualche modo lo spirito borghese”

Inizia in tal modo, raggiunte convinzioni profonde, la lotta fino alla fine del poeta civile. Un opera di opposizione strenua quanto solitaria, perché va detto, che nessuno aveva compreso fino in fondo quel pensiero complesso e contraddittorio vissuto però con estrema sincerità e in maniera viscerale.

“Nella storia nostra – e nella specie mia –

Non la poesia è in crisi, ma la crisi è in poesia.”

Costante è in Pasolini l’interesse per la lingua, in un rapporto ineliminabile tra lingua/ poetica/ realtà, in maniera che la poesia, attraverso un linguaggio idoneo, di volta in volta scelto, risulti intrisa di quanto di più problematico la realtà sociale presenti nei tumultuosi cambiamenti di quegli anni.

Chi ha vissuto quel clima politico e sociale ricorderà che, per i più, non fu facile capire le posizioni del poeta. Non era facile neppure per quelli schierati a sinistra che anzi, finivano per essere i più acerrimi avversari del pensiero pasoliniano così libero e distante dalle logiche di schieramento e da una ideologia che era diventata una vera camicia di ferro che impediva di cogliere appieno il reale, anziché illustrarne le contraddizioni.

Certamente l’idea di Gianni D’Elia che Pasolini continui, in isolamento totale, quella idea di poesia come azione che trova antecedenti in Dante e Leopardi, ha un fondamento di verità. ( E’ questo un altro spunto che meriterebbe interi trattati di approfondimento).

Il poeta diventa l’ultimo combattente di un potere incapace di vedere, (e meno che mai di fare opposizione e contrastare), la metamorfosi che sta trasformando tutti, anche la vecchia classe operaia, in un popolo di consumatori conformisti. Nella sua costante ossessione per il linguaggio più idoneo alla rappresentazione del reale, arriva il momento per Pasolini di scegliere il cinema, “lingua scritta della realtà”, come la forma espressiva più idonea alla sua battaglia di opposizione, un linguaggio che, rispetto al romanzo, non avrebbe parlato soltanto a centomila persone ad esempio, ma ad un pubblico molto più vasto. Ciò che nessuno notava e comprendeva appieno, era “l’artista” Pasolini, che spingeva l’intellettuale verso una raffigurazione poetica di un reale torbido e ricco di oscure macchinazioni politiche. Che importanza potrebbe avere oggi, interessarsi alle polemiche sui suoi film, o anche ai tantissimi processi (assurdi) per oscenità che colpirono le sue realizzazioni? Questa è ormai materia per gli appassionati e i cultori di storia, a me invece interessa che sia ben messo in evidenza “la novità” assoluta di certe opere e le grandi difficoltà affrontate dell’artista per realizzarle. I temi di quelle opere, non solo hanno dato luogo a momenti altissimi di bellezza e poesia, ma sono ancora la brace sulla quale noi stessi, nelle contraddizioni di questa società, contraddizioni ormai insanabili, (hai voglia a ritardare l’uso dei termosifoni, o fermare le auto per qualche giorno o regalare mance per tentare di arginare la povertà e l’emarginazione…) bruciamo.

Delle qualità estetiche di Paolini artista figurativo e cinematografico parleremo nella prossima trattazione, qui è invece il caso di accennare alle “mitologie” pasoliniane, al suo rapporto con il “terzo mondo” l’Africa in particolare, che a Pasolini per un momento, parve come una via di fuga possibile per la sua esistenza, fino a vagheggiare l’idea di trasferirsi in quel continente per il resto della sua vita, vivendo su un natante arenato che ebbe la tentazione di acquistare. L’intelligenza critica del poeta non impiegò però molto nel rivelare i germi di quanto poi sarebbe avvenuto, e cioè la progressiva distruzione da parte del capitalismo economico anche di quel mondo, anche di quelle forme arcaiche di esistenza, conquistando quella gente o per fame o per ideologia, all’inferno pieno di lustrini e di sirene, della società occidentale, al punto che oggi possiamo constatare, impotenti, migrazioni bibliche che certo non sarebbero state così “inevitabili”, senza gli errori madornali compiuti da politiche miopi e contraddittorie, in ogni caso fallimentari, politiche economiche che avevano ed hanno come fine esclusivamente il profitto e non il progresso.( il rapporto tra sviluppo e progresso è un altro tema che andrebbe approfondito, proprio perché ci riguarda da vicino, a ben cinquant’anni dalle opere del poeta). Perché Pasolini non fu dalla parte degli studenti e neppure sul piano letterario dell’avanguardia di quegli anni? (Gruppo 63) Perché aveva il poeta, compreso bene come fossero illusorie quelle battaglie e quei virtuosismi poetici e letterari (ed io aggiungerei, sviluppati, con finto clamore pubblicitario e benpensante, anche sul piano delle arti figurative), perché tutti ben contenuti ed arginati in una realtà sociale che non sarebbe affatto mutata in virtù di quelle chiacchiere, una volta accettato come ineluttabile un sistema economico che controllava (anche con la forza), e di fatto annullava quelle idee fino a farle apparire ridicole. Nonostante ciò Pasolini fece sue, dopo il ’68, molte delle idee portanti del movimento studentesco, elaborandole in maniera molto più acuta ed originale, nelle sue battaglie polemiche.

Il giorno prima di morire, nell’ultima intervista a Furio Colombo, Pasolini afferma:

“Pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia. Qual è la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l’orario ferroviario dell’anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo: ma strano, ma questi due treni non passano di lì, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? O il macchinista è impazzito o è un criminale isolato o c’è un complotto. Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarsi da soli con la verità…che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori…”

Bè, quante volte avete sentito parlare di complotti in questo Paese sfortunato, in questi tanti anni trascorsi? Si è parlato di complotto persino per la stessa morte del poeta. Ora è chiaro perché di Pasolini si preferisca fare il “santino” con poche righe di telegiornale, ogni due novembre, e non leggerselo ancora e studiarlo, magari in quella risibile scuola pubblica, come sarebbe opportuno, per trovarvi spunti e riflessioni per noi, ancora vitali? Certo non “leggendo gli orari ferroviari di dieci anni prima” o cinquant’anni prima, ma per far nostra l’intelligenza nell’affrontare le problematiche, la cultura per elaborare un metodo di miglioramento reale, per non perdere di vista la bellezza e la poesia della vita. Al contrario la società civile, come è sotto gli occhi di tutti, si va perdendo in banalissimi interessi di parte, partigianerie regionalistiche,(che hanno ben saldo fondamento in un federalismo che ha in realtà significato solo il raddoppio delle imposte per i cittadini) che hanno una vista ben miope, e che sono il portato di una mancanza di visione politica complessiva che dovrebbe essere l’autentico tessuto connettivo di una nazione. Non solo occorrerebbe elaborare un nuovo modo di intendere l’economia, (e ciò appare imprescindibile), ma soprattutto, prima, occorre elaborare principi autentici e non fossili incisioni su pergamene storiche, principi che realmente unifichino un popolo attualmente di conformisti sciocchi, grezzi, volgari ed ignoranti, nonostante lauree e diplomi, in una nazione degna di questo nome. Senza tutto questo il destino di questo Paese appare segnato.

(Continua)

30/10/2017, Antimo Mascaretti

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