CARATTERISTICHE DELL’ARCHITETTURA BIZANTINA

di Lidia Borella

Quando l’imperatore Costantino fece di Bisanzio la nuova Capitale dell’Impero romano d’Oriente, dandole il nome di Costantinopoli, iniziò anche a diffondersi un nuovo stile architettonico.

Inizialmente l’architettura bizantina non si differenziava molto da quella romana poi, col passare del tempo, venne influenzata dalle tendenze orientali; per le chiese si usò la pianta a croce greca, i mattoni sostituirono le pietre, i mosaici subentrarono alle decorazioni scultoree e vennero innalzate complesse cupole.

L’arte bizantina nacque quindi dalla fusione di diversi elementi: dalla cultura e dal gusto greco, dalla potenza romana e dall’amore degli orientali per l’ornamentazione.

Mentre da una parte i romani lavoravano per rendere l’esterno delle architetture piacevoli all’occhio, i bizantini si impegnarono ad abbellirne gli interni.

Due tra le più importanti caratteristiche strutturali dell’architettura bizantina sono: la pianta a croce greca e le cupole; Santa Sofia a Costantinopoli e San Marco a Venezia, ne sono un caratteristico esempio, al contrario, le chiese bizantine di Ravenna hanno conservato le forme tradizionali delle prime chiese romane paleocristiane del IV e V secolo, mentre gli elementi innovativi tipicamente bizantini si trovano solo nelle strutture e nelle decorazioni.

Altri elementi strutturali caratteristici dell’architettura sacra bizantina sono:

l’abside poligonale all’esterno e semicircolare all’interno, il tiburio che appare all’esterno come una torre e che all’interno nasconde una cupola e la decorazione esterna a lesene, archetti pensili e arcate cieche.

Per quanto riguarda le cupole, i romani sapevano costruirle solo come tetto di uno spazio circolare, mentre i bizantini trovarono il modo di realizzarle su ambienti quadrati, riempiendo gli angoli di mattoni che continuavano la curva della volta; questo avveniva grazie a quattro triangoli sferici detti pennacchi.

Queste cupole sono caratterizzate da un’arte edile molto accurata, le curve supportano un grandissimo peso e resistono fortemente alla pressione verso l’esterno.

I romani preferivano rivestire l’interno dei loro edifici con marmo o con affreschi, i bizantini diversamente impiegavano dei ricchi mosaici, che univano la bellezza delle superfici marmoree alle illusioni spaziali, grazie al riverbero dorato si creava un’illusione di continuità tra lo spazio interno e i suoi limiti murali.

I mosaici nelle architetture sacre erano disposti con particolare rigore, non poteva essere immaginato per il Cristo un luogo più adatto del centro della cupola, paragonata alla volta celeste, né per la Vergine un luogo più sacro della conca dell’abside. Nello stesso modo le figure dei quattro Evangelisti erano spesso disposte sui quattro pennacchi della cupola poiché dovevano essere posti molto vicino alla figura di Cristo di cui avevano narrato la vita.

Inferiormente, sulle pareti, dove potevano facilmente essere osservate dai fedeli, erano rappresentate le scene di vita di Cristo e, a un livello ancora più basso, le immagini più terrene: i Santi occupavano lo spazio di parete più vicino al suolo e conseguentemente più strettamente legato alla vita di ogni giorno.

In epoca Iconoclastica (726-787 e 814-843) sparirono le immagini sacre e vennero sostituite da semplici simboli (croci), da animali, da uccelli o da vegetazione.

Alcune cause dell’Iconoclastia furono: la diffusione di pratiche superstiziose che utilizzavano le immagini come idoli, il desiderio da parte delle oligarchie militari da cui provenivano gli imperatori di limitare il preponderante potere della Chiesa, in particolare della sua componente monastica, sostenitrice delle immagini, e il contatto di larghi strati della popolazione con i nuovi occupanti dell’area medio-orientale, gli arabi, avversi alle immagini antropomorfe delle divinità.

Mentre l’Occidente fu sempre contrario all’Iconoclastia, in Oriente essa ebbe un primo momento significativo nel 726, quando l’imperatore Leone III decise di rimuovere l’icona di Cristo che si trovava sopra la porta principale del palazzo imperiale.

A questo fece seguito nel 730, l’editto con cui proibì il culto delle immagini sacre, concedendo invece la possibilità di produrre immagini profane, quali i ritratti imperiali, le scene di battaglia e quelle del circo.

Ebbe così inizio la prima fase della lotta iconoclastica, che conobbe il suo apice durante il regno di Costantino V (741-775). Le icone e i codici miniati vennero distrutti e bruciati, le decorazioni figurate delle chiese cancellate e sostituite con motivi a carattere profano quali fiori, animali, quinte architettoniche, ma soprattutto simboli, tra i quali quello della croce.

La venerazione delle immagini venne reintrodotta con il Concilio Ecumenico convocato a Nicea nel 787 dall’imperatrice bizantina Irene e dal figlio minorenne Costantino VI, forse anche al fine di perseguire una politica di riconciliazione con l’Occidente, dove si stava sempre più affermando l’egemonia di Carlo Magno.

Nell’anno 815 l’imperatore Leone V, l’armeno, introdusse nuovamente il divieto di venerare le immagini sacre, che durerà fino al 843; questa volta però le azioni intraprese furono assai meno radicali, le immagini non vennero distrutte, ma solo ricoperte di vernice bianca e la venerazione privata delle icone restò in qualche modo tollerata.

Il definitivo ristabilimento del culto delle immagini si ebbe nel 843 per opera dell’imperatrice Teodora.

L’arte e gli artisti, spesso monaci, vennero però sottomessi al rigido controllo della Chiesa che stabiliva una volta per tutte quali immagini potevano essere rappresentate, in che modo e in quale parte dell’edificio di culto si dovevano trovare, in obbedienza ad una rigida gerarchia, da quel momento in poi sempre sostanzialmente rispettata. Tale disposizione vedeva Cristo raffigurato al centro della cupola, la Vergine nel catino absidale, affiancata dagli Arcangeli e poi apostoli, profeti, patriarchi e santi che potevano ricoprire ogni parte della chiesa.

Dal punto di vista stilistico si assisteva ad una radicale estraniazione della figurazione dalla realtà, che aveva come intento quello di svelare non l’aspetto umano del personaggio raffigurato, ma piuttosto le sue qualità spirituali.

Lidiart

30/01/2017, Lidia Borella

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