PERCORSI TRA I GRANDI ARTISTI: ALBERTO SAVINIO

di Lidia Borella

Alberto Savinio (fratello minore di Giorgio de Chirico), è il nome d’arte di Andrea Francesco Alberto de Chirico, nato ad Atene nel 1891 e morto a Roma nel 1952.

Una delle peculiarità dell’artista è sicuramente il gioco dei nomi: Andrea Francesco Alberto de Chirico all’anagrafe, Betty in famiglia, Alberto Savinio, nome che usa per firmare i suoi dipinti e Nivasio Dolcemare lo pseudonimo per i suoi racconti autobiografici.

La figura di Savinio è sfuggente per il suo carattere eclettico e poliedrico: costituisce un caso singolare di artista totale; è soprattutto un artista di contenuto, che realizza le sue opere in base alla sua personale visione del mondo.

Si occupa inizialmente di musica, per passare poi alla scrittura ed infine al teatro e alla pittura, una sorta di estensione a tutte le sfere della creatività.

La sua attività di pittore inizia a Parigi in pieno surrealismo; il suo stile tuttavia rimane molto singolare, in una zona intermedia tra surrealismo e metafisica.

La sua pittura è ricca di significati simbolici e di riferimenti culturali, non ha un’immediatezza comunicativa, ma richiede un approccio attento e preciso per poter apprezzare in pieno il gioco che attua sugli elementi della memoria culturale, sulle radici della nostra cultura e del nostro pensiero.

Savinio è di tre anni più giovane del fratello Giorgio, nasce anche lui in Grecia e vi trascorre l’infanzia, le sue opere pittoriche presentano differenti caratteristiche rispetto a quelle del fratello maggiore.

Le opere metafisiche di Giorgio sono caratterizzate da melanconia, mentre quelle di Alberto da un’ironia dissacrante, egli coglie il rapporto con l’antichità classica nello spirito della “commedia”, da non intendere come semplice divertimento o satira, ma come una sorta di ricerca di elementi essenziali, con la consapevolezza di dover manipolare la realtà per eliminare da essa le contraddizioni della vita.

I due fratelli sono uniti da una visione del mondo metafisica che nelle opere di Giorgio de Chirico è statica e sospesa al di fuori dal tempo, mentre la visione di Savinio è molto più dinamica.

Nei suoi dipinti sono presenti diversi tematiche: bibliche, mitologiche, riguardanti il sogno e la dimensione ludica dell’infanzia e del gioco.

La serie dei dipinti con i giocattoli sviluppa il tema del gioco infantile quale momento di grande libertà fantastica, svincolata dalle regole razionali proprie dell’età adulta.

Nel suo percorso a ritroso nella storia, alla ricerca di valori autentici da contrapporre a un presente contraddittorio, l’artista risale alla fase primitiva dell’universo, quella che precede l’organizzazione razionale dei fenomeni naturali, quando gli uomini consideravano animata tutta la natura e gli eventi naturali erano ritenuti prodigi degli dei.

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Accettando il principio di un mondo in continuo divenire, i paesaggi di Savinio si animano di segni di perenne vitalità, in cui la natura è libera di espandersi in continue apparizioni sorprendenti: ruote dentate, righe colorate che solcano i cieli, oggetti geometrici trasparenti, giocattoli reinventati.

La fase primordiale della natura è indagata attraverso il mito greco, ma anche attraverso i passi della Bibbia: accanto alle tele dedicate a Prometeo o a Pegaso, compare il ricordo di Sodoma e Gomorra, del combattimento degli angeli ribelli, del ritorno del figliol prodigo, della cacciata dal paradiso terrestre, dell’annuncio alla Vergine della nascita di Cristo.

In altri casi, il primordiale dà luogo a immagini di “centauri-dinosauri” (raggruppati nel chiuso delle stanze o in riva al mare) o di arcaiche foreste.

Fa la sua comparsa anche il tema del “viaggio”, quale dimensione emblematica di una costante ricerca di valori e di verità.

Questo tema è richiamato dagli stessi titoli di alcune opere e si concretizza in oggetti e figure in volo, in immagini di navi fantastiche, oppure nel riferimento al mito di Ulisse che ritorna verso Itaca.

Il volo, per Savinio, è la proiezione di un desiderio perenne dell’uomo di identificarsi con il mitico Icaro: “Volare”, scrive l’artista, “è un desiderio dell’uomo, un sogno, il ricordo di una vita remotissima. L’uomo non è fatto naturalmente per volare, lui che nemmeno per nuotare è fatto. Serba tuttavia un oscuro ricordo di quando nuotava e volava”.

Savinio dichiara più volte di amare i racconti di avventure di autori come Robert Louis Stevenson e Jules Verne: nei suoi dipinti, da Ile au trésor a Le butin des pirates, tutto un repertorio di oggetti strabilianti, quali “tesori” di un “bottino dei pirati” (biglie dalle code svolazzanti, pennacchi, archi dalle tonalità fosforescenti, poliedri fittamente decorati) testimonia con forza che, nel dinamismo universale si frantumano le categorie della conoscenza razionale e si annulla la separazione tra animato e inanimato.

In questo continuo presentarsi della realtà secondo aspetti sempre insoliti e strabilianti, nelle sue opere compaiono anche figure umane con teste di animali.

Sembrerebbe un’iconografia simile a quella di alcuni dipinti surrealisti di Max Ernst, ma in Savinio queste figure nascono non da metamorfosi, quanto da un accostamento, si potrebbe definire quasi un fotomontaggio di una testa di animale a un corpo umano che non subisce alterazioni.

Questi continui “travestimenti” dell’uomo, degli oggetti-giocattoli, della natura sembrano un felice recupero della capacità inventiva dell’infanzia e della sua dimensione ludica.

Le immagini saviniane sono profondamente ambigue, sommano in sé significati plurimi e dichiarano apertamente l’inesistenza di un’unica verità.

Con lucidità tutta novecentesca, Savinio già nel 1920, in un articolo dedicato alla letteratura dichiarava che “l’ambiguità del linguaggio (in questo caso quello verbale) è lo strumento più idoneo a esprimere verità non univoche”.

Secondo Savinio, l’artista novecentesco non può illudersi di proporre immagini nuove e originali, secondo un superato concetto romantico di artista “creatore”.

Dopo il lungo sviluppo dell’arte occidentale, tutto è stato detto, tutto è stato sperimentato; l’artista contemporaneo “intelligente” (secondo la definizione dello stesso Savinio) non può che far ricorso a un universo visivo già tutto elaborato, che costituisce la memoria iconografica della tradizione europea e Savinio fa uso di un insieme ricchissimo di materiali eterogenei, cui attinge per le sue immagini.

Si serve dei famosi repertori di immagini classiche ma anche di fotografie di famiglia, di riproduzioni di opere di Bocklin, del Parmigianino o di Michelangelo, di raccolte di incisioni seicentesche di monumenti classici romani, di libri di zoologia e di trattati di divulgazione scientifica, di libri di favole per bambini e di tavole ottocentesche di uso accademico con riproduzioni di nudi in pose classicheggianti.

Talvolta tali esempi vengono rielaborati, talvolta vengono citati alla lettera, in un gioco complesso di rimandi, reso più sottile da quella pratica della “citazione da se stesso”, che Savinio mette in atto, nella ripresa costante di alcuni suoi soggetti, in tempi e contesti diversissimi, nel corso della sua attività.

Lo spirito, l’intelligenza e l’ironia intervengono nel manipolare concettualmente le immagini date, per ribaltarne coscientemente i significati o per attribuire loro significati inaspettati.

Lidiart

14/10/2016, Lidia Borella