PERCORSI TRA I GRANDI ARTISTI: RENOIR

di Lidia Borella

Pierre Auguste Renoir nasce a Limoges nel 1841, figlio del sarto Leonard e dell’operaia Marguerite Merlet, quando Auguste ha tre anni i suoi genitori decidono di trasferirsi a Parigi, grande metropoli in crescita.

Il piccolo trascorre un’infanzia felice, dimostrando fin dalla giovane età una predisposizione per il disegno, infatti viene messo a fare l’apprendista presso la bottega di un decoratore di porcellane.

Vista la sua attitudine artistica il padre gli permette di frequentare anche dei corsi serali con la speranza che un giorno diventi un artigiano di qualità.

Nel 1862 Renoir viene ammesso all’école des Beaux-Arts, dove si iscrive ai corsi del pittore Charles Gleyre: in questo periodo si esercita nello studio del nudo, nel disegno, nella prospettiva, perfezionando gli aspetti tecnici della sua arte. Renoir passa gli esami regolarmente senza però essere tra i prediletti del maestro che lo avverte sui pericoli del “dipingere per divertimento”. I due avevano una diversa concezione dell’arte: secondo Gleyre l’arte era un severo esercizio formale, mentre per Renoir l’arte era divertimento e piacere.

Scrive il critico Octave Mirbeau: «Renoir ha vissuto e dipinge. Ha fatto il proprio mestiere e in ciò sta forse tutto il suo genio. L’intera sua vita e le sue opere sono una lezione di felicità».

“Lavorare da buon operaio”,”fare della buona pittura” sono le affermazioni che tornano frequentemente nelle sue lettere, la consapevolezza dell’importanza del fare e la fiducia nel mezzo espressivo di pennelli e tavolozza sono punti di riferimento della ricerca artistica di Renoir.

Non diversamente da quanto accadeva agli esponenti dell’Impressionismo, la maggior parte delle sue opere continuava a essere respinta piuttosto che accettata dalle esposizioni ufficiali. I colori dei suoi dipinti venivano considerati troppo luminosi e volgari e i suoi lavori erano giudicati sommari e non rifiniti secondo le giuste regole.

In occasione della seconda mostra impressionista del 1876 il critico Albert Wolff, sul quotidiano Le Figaro, definisce l’opera “Nudo al sole” come:«Un ammasso di carne in decomposizione sul quale macchie verdi, violacee, indicano lo stato di completa putrefazione».

Inizialmente la sua pittura è più incline al paesaggio, ma ben presto si orienta verso il ritratto, dedicandosi soprattutto alla rappresentazione di soggetti femminili. Alcune delle modelle che hanno posato per gli impressionisti sono diventate anche le loro amanti, compagne o mogli. Renoir ha amato donne semplici e popolari come la modella bruna Lise Tréhot, la giovane sarta di Montmartre Aline Charigot, che Renoir sposerà nel 1890, e altre modelle come Alphonsine Fournaise, e l’attrice Jeanne Samary.

Secondo l’artista il dialogo tra pittore e modella è un episodio di grande intimità: non è soltanto la modella a denudarsi davanti al pittore, ma anche il pittore, condividendo la creazione dell’opera d’arte con un’estranea, è costretto a rivelare se stesso.

Renoir, soprattutto nell’opera matura, dipinge persone che in qualche modo fanno parte della sua vita, familiari, amici, quasi mai anonimi modelli.

Per quanto riguarda la sua tecnica pittorica, adotta una pennellata minuta, frammentando la luce in piccole chiazzette di colore e conferendo all’insieme una sensazione di gioia e vivacità.

Renoir sosteneva (come altri impressionisti) che le ombre non sono nere, che hanno sempre un colore e che il bianco e il nero non sono colori.

Una delle più considerevoli dimostrazione di questa teoria delle ombre si può trovare nella famosa opera “Moulin de la Galette”, realizzato nel 1876.

Il dipinto, notevole per dimensioni e per impegno, è il risultato di molti mesi di lavoro: ogni giorno gli amici aiutano Renoir a trasportare la tela dal suo studio al Moulin, un punto di ritrovo dove abitanti del quartiere e artisti si incontrano per divertirsi. Renoir vuole rendere omaggio all’atmosfera del piacere borghese; tramite l’uso del colore, l’artista cerca di suggerire non solo il senso del movimento ma anche lo stato d’animo collettivo e la gioia di un pomeriggio di festa.

Al 1881 risale un altro capolavoro del periodo impressionista, uno degli ultimi prima del viaggio in Italia e del conseguente ripensamento della sua pittura. Si tratta della “Colazione dei canottieri”, opera dipinta dopo la pubblicazione di un articolo del critico Zola che accusava gli impressionisti del fatto che nessuno di loro era riuscito a interpretare con forza e chiarezza le nuove teorie. Renoir decide di dipingere questo quadro come una sorta di risposta e di sfida rispetto al discorso del critico Zola.

Il dipinto rappresenta una colazione al ristorante “La Fournaise” a Chatou, un villaggio sulla Senna a poca distanza da Bougival. I frequentatori del locale erano soprattutto sportivi che, dopo aver vogato in canoa, si concedevano un po’ di riposo insieme agli amici.

Per chi fosse affascinato dall’opera in questione consiglierei la lettura del libro “La vita moderna” di Susan Vreeland, che narra (in forma romanzata) la vicenda della realizzazione del dipinto. La scena è ambientata nella veranda del locale, dove quattordici personaggi conversano tra loro dopo il pranzo.

La scrittrice descrive la personalità del pittore e il rapporto con ogni personaggio raffigurato: amici ed amiche con cui Renoir ha un diverso tipo di rapporto. In primo piano si riconosce Aline Charigot, la bella donna con il cagnolino (futura moglie del pittore), appoggiata alla ringhiera Alphonsine Fournaise, figlia del proprietario del ristorante. La luce chiara del primo pomeriggio estivo inonda la scena di riflessi rosati che contrastano con lo sfondo verdeggiante. L’atmosfera che ne deriva è di una straordinaria naturalezza e i personaggi sono legati tra loro da un gioco di sguardi.

Negli anni successivi l’artista si reca in Italia dove rimane profondamente colpito dai colori mediterranei, saturi e squillanti. E’ entusiasmato anche dallo straordinario ciclo di affreschi Vaticani di Raffaello che giudica colmo di sapere e saggezza ed è proprio da questa riflessione che la sua visione impressionista della realtà entra in crisi.

Ecco allora che le forme dei suoi personaggi, soprattutto delle sue bagnanti mutano: il colore si fa più denso e sembrano sparire i riferimenti al presente, gli imponenti nudi assomigliano più a dee pagane che a giovani parigine in riva alla Senna.

Scrive di lui il figlio Jean: «Quel che colpiva gli estranei che si incontravano con lui per la prima volta erano gli occhi e le mani. Gli occhi erano di un marrone chiaro, tendente al giallo; aveva una vista acutissima. Spesso ci indicava all’orizzonte un rapace che sorvolava la valle, o una coccinella che si arrampicava lungo un filo d’erba. Nonostante i nostri occhi di ventenni, eravamo costretti a cercare, a concentrarci, mentre lui scovava di colpo tutto ciò che lo interessava, vicino o lontano…. Aveva le mani deformate in maniera spaventosa; i reumatismi avevano fatto cedere le articolazioni… I visitatori non abituati non riuscivano a staccarne gli occhi; la reazione ed il pensiero che non osavano formulare era “non è possibile con delle mani simili non può dipingere questi quadri; c’è sotto un mistero”. Il mistero era Renoir stesso, un mistero appassionante che in questa mia opera tento non di spiegare, ma solo di commentare. Potrei scrivere dieci, cento libri, sul mistero Renoir e non riuscirei a esaurire l’argomento»

Lidiart

12/01/2017, Lidia Borella

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