PROVE D’AUTORE (PER MANO SINISTRA) (IX)

di Antimo Mascaretti

Respinta con motivazioni convincenti l’idea dell’arte come progresso indefinito in forme sempre più bisognose di “accompagno” concettuale, e/o di elucubrazioni fantastiche (che nulla hanno poi a che vedere con ciò che appunto è mostrato e dunque, è in vista), non rimane che una sempre possibile fedeltà al proprio mezzo espressivo, da parte di ciascun artista. Fedeltà che racchiude e àncora alla fine, l’intera opera di un artista, come per altro è più che naturale, alla propria visione del mondo, senza pretesa di universalità, a ciò che in definitiva, si ama e si odia.

Perché è evidente il luccichio della bigiotteria scientifica che pure suona falso, alla maniera dell’ora di doratura, anche nelle mirabolanti quanto inconsistenti “conquiste”, che poco o nulla aggiungono però, all’esistenza autentica di ogni essere umano, il problema del nichilismo, così come ad esempio, preso in esame da Nietzsche, e sottinteso all’espressione: “Dio è morto”, rimane piaga aperta e purulenta della contemporaneità.

Caduti i valori fondamentali di riferimento (ed individuato in questo evento l’origine del nichilismo, per comprendere adeguatamente la “metafisica dei valori” di Nietzsche è d’aiuto rileggere il piccolo saggio di Heidegger in “Holzwege”), fallita dunque o comunque non riuscita in maniera esaustiva, anche sul piano teoretico, la pretesa di sostituire quel vuoto lasciato dai valori fondamentali con una “rivoluzione di tutti i valori”, per le resistenze potenti d’una realtà che la filosofia a volte, tende a mettere tra parentesi, si assiste oggi, alla nuova ed ultima in ordine di tempo e di secoli, trasformazione camaleontica del nichilismo che ha inquietanti manifestazioni, in riferimento non più ai valori, ormai liquidati, estinti e perduti inesorabilmente, ma a pure “sagome di cartone”, che ne hanno assunto le sembianti.

Ogni rigirarsi dell’arte, come il maiale nel truogolo, nelle varianti infinite del modernismo avanguardista ormai ultra centenario, anche sfruttando con sapienza estenuata gli ultimi ritrovati di una scienza pratica applicata alla luce e/o a concezioni spaziali non euclidee, non permette pur sempre, di uscire dalla disperazione reale, concreta, dell’uomo e del suo palese fallimento in primis nel rapporto con quella natura che avrebbe voluto e secondo alcuni esagitati, dovuto dominare, e che invece palesemente lo trova impotente, impaurito, confuso e succubo davanti ad ogni manifestazione naturale di impetuosa devastazione.

Altrettanto fallita si manifesta anche l’azione, anzi, la riflessione sul pensiero, sul proprio essere e sul proprio destino, che appare strozzato tra teorizzazioni non scientifiche ed economie con finalità assurdamente pauperistiche assurte malauguratamente a pensiero unico, a fronte di ricchezze mastodontiche accumulate, altrettanto insensatamente, da un numero esiguo di individui in preda alla deformazione mentale di valutare il successo della propria esistenza condizionando il giudizio all’entità del patrimonio accumulato e persino occultato.

Per restare all’arte, alla pittura nel mio specifico, perché non è bene allontanarsi troppo con voli radenti in astrattezze teoriche, quando si ragiona d’arte che rimanda, come è da sempre nel caso della pittura, all’oggetto, alla materialità di supporti e colori, posti “in forma” o sia pure con intento “contro forma”.

Assistiamo ad espressioni molteplici senza che però, sia possibile attribuire a tante pletoriche espressioni, quel senso di completezza appagante lo spirito, se non in ben rari casi.

Si potrà arguire che è appunto in rari casi che l’arte si risolve come tale e si rivela, e sia pure. Rimane tuttavia, l’impossibilità persino teorica, di una pittura che non avendo valori o canoni assodati cui fare riferimento fiducioso, finisce per cadere inevitabilmente nel racconto intimo, privato o nell’unica possibile alternativa: la disperazione. Quella disperazione (unico stato d’animo universale riconoscibile con facilità da parte del genere umano), impotente di fronte all’assurdo esistenziale.

Nel gran galà del trionfo, più mediatico che concreto, dello scientismo tronfio e arrogante, la povertà spirituale, unica tra le povertà a non essere destinata a fare voce statistica ISTAT, si tocca con mano proprio in quelle espressioni totalmente fallite che sono le opere d’arte o pretese come tali, nella contemporaneità. Fenomeno che dovrebbe far riflettere gli artisti, mentre al contrario, in generale essi appaiono perfetti ingranaggi di un sistema che non ammette opposizioni, perché ha inglobato persino quella funzione critica riflessiva connaturata, per sua stessa natura, all’espressione artistica, che ora appare una povera ritualità bolsa, un po’ idiota, nella figura dell’artista costretto a far mostra, come manager di sé e delle sue carabattole, di candida, perversa, insensata inutilità.

Non molto distante l’artista dal mago (nel senso di trasformatore fantastico di apparenze), neppure nei secoli d’oro trascorsi dalla pittura, oggi egli si trasforma spesso in personaggio mediatico ridicolo, pontifex screditato delle sue “ricerche” (sic), in fiere e convegni colti o più banalmente, su internet , personaggio che mi pare si accomuni più ai lettori di carte e fortune, ai pronosticatori di numeri al lotto, la cui credibilità spesso e volentieri, attraversa anticamere in penombra, di questure e aule di tribunali. Non più che un manichino intento a vendere (imperativo categorico su cui non si transige mai in nessun caso), quasi un personaggio di legno e cartone che vorrebbe convincerci dell’arte sofisticata raggiunta dalle sue cacatine di piccione.

A pensarci bene però, pare che il personaggio riesca alla fine nel suo scopo, e con grande abilità, se tutto ciò viene chiamato con incredibile serietà, “sistema dell’arte contemporanea”, attorno al quale ruotano i culi di pavone dei nostri presunti “grandi maestri” da più di settanta anni.

Nel tripudio ed esaltazione di ogni minoranza, anche la più improbabile, sessuale, politica, di razza e genere, non è però compresa quella sparuta minoranza di chi, come noi, si ostina a parlare di filosofia e di spirito, e persino di estetica, senza essere in sacrestia o dalla manicure, e vorrebbe ancora realizzare, sommo delitto imperdonabile, opere durature nel tempo.

Ma perché? A quale scopo? Si potrebbe rispondere allo stesso modo di Don Giovanni nel motivare a giustificazione il suo gesto di offerta al mendicante: “per l’umanità”. Nient’altro. Ma una simile risposta sarebbe certo poco convincente e comunque incapace di impedire che alla fine, tutto sia considerato nient’altro che merce, merce acquistabile con moneta tradizionale o chissà, tra qualche tempo o già domani, magari in bitcoin.

La via intrapresa dall’inizio del Novecento, per l’arte si è rivelata una via senza uscita. Tutto l’equivoco delle avanguardie si giocò sull’idea di scomposizione e frammentazione, per evitare il vero problema: l’impossibilità di accedere ad una verità che, allontanata per sempre con la perdita del senso del sacro, diveniva sempre più inaccessibile.

Ciò che è sembrato un progresso, una raggiunta libertà, non era che perdita irreparabile. Tutto ciò che si iniziava a praticare, quasi allegramente, era la distruzione prima di tutto della tradizione, e dunque, della possibilità stessa di continuare un’arte che avesse stelle fisse cui fare sicuro riferimento.

Ciò che l’arte oggi in realtà si pone come méta, non è che l’espressione chiara di una visione del mondo, ma innumerevoli circostanze, avvenimenti e ricordi ed infine incontri, hanno oscuramente e spesso inconsapevolmente contribuito a rendere arduo, indecifrabile paradossalmente, quell’ universo che noi tentiamo di esprimere. La scrittura allora, può assolvere il compito di evidenziare tutto il sotterraneo percorso segreto. Manca e per sempre forse, la pretesa di universalità. Il senso di qualcosa di misterioso avvolgeva la vita dell’essere che dipingeva scene di caccia nelle grotte di Altamira, il suo cuore però batteva all’unisono con gli altri esseri, aveva le stesse fedi e le stesse credenze, era compreso, nella sua azione di rendere immortali le emozioni di quelle visioni di sangue e di animali in fuga. Era lo sciamano illuminante la realtà durissima di tutti i giorni, era il tramite con la divinità al pari del sacerdote, in rituali dipinti altrettanto oscuri. L’uomo di oggi, con la sua abnorme quanto folle razionalità esaltata e tuttavia impotente, con i suoi vaccini contro tutto, con le sue assicurazioni onnicomprensive, sa solo distruggere, mentre continua a morire infelice e disperato e si va perdendo nelle radure spoglie di un mondo desertificato dalla sua azione presuntuosa. Prima o poi quei minerali radioattivi che ha nominato con lettere e numeri, e formule graziose, simboli che appaiono solo una minaccia vaga, improbabile, lo puniranno per i restanti secoli. E’ più misero e impaurito, nella sua follia, di quell’antico sciamano della preistoria.(ma veste Armani, Dolce e Gabbana, etc.)

(Continua)

27/12/2017, Antimo Mascaretti

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