PROVE D’AUTORE (PER MANO SINISTRA) (XII)

di Antimo Mascaretti

Attorno al Tractatus logico- Philosophicus di Wittgenstein e le “tre vie”. (parte prima)

Quando un’angosciata insonnia, al chiarore lunare, ci induce a pensare la nostra opera, un quadro, un testo poetico, un romanzo o addirittura l’intera nostra opera, come null’altro che vanità, si è arrivati al punto cruciale, al momento in cui, riflettendo sul proprio lavoro, se ne avverte la distanza che mai avremmo sospettata, dal mondo e dallo spirito, insieme.

La nostra opera è trasformazione, trasfigurazione della realtà, in quanto tale è altra cosa dal reale. Una riflessione appunto, una maniera di specchiarsi, specchiare. Ma irrimediabilmente “altra cosa”. Così, allo stesso modo, sentire la propria opera altra cosa da sé, la rende lontana dallo spirito. Noi, purtroppo, nel nostro disperderci nel tempo, non siamo più quelli che sentirono quell’emozione che dette vita a quella determinata opera, che si identificarono illusoriamente con essa, almeno per un momento.

Rimane l’insufficienza, avvertita quasi con fastidio, dell’opera creata riguardo la nostra esistenza. Essere noi i creatori di una data opera, anche quando la si sente riuscita, lascia persino stupefatti, indifferenti.

Il perfetto ingranaggio di continue trasformazioni fantastiche elaborate a partire dalla realtà è dunque, allora da considerarsi rotto, e siamo soli. Tutto è illusione. Certamente. Ma è possibile riempire il tempo della disillusione? Quella distanza tra il nostro vuoto interiore e la nostra morte? La vita ad un dato momento, riprende il sopravvento sull’illusione dell’arte. Rimaniamo attaccati affettivamente alla nostra opera come se essa fosse un espediente prezioso, una magia segreta, per ricostruire il tempo che abbiamo purtroppo perduto.

Non vorremmo mai liberarci, distaccarci dalle nostre opere per nessun motivo, non vorremmo assistere alla dispersione del meglio di noi o in ogni caso, di una parte essenziale del nostro essere. Ma ciò è necessario per la vita dell’opera che inizia a vivere pienamente il suo più profondo significato nel momento in cui noi, a malincuore, rinunciamo ad essa nel nostro spirito. A rifletterci, se avessimo ceduto quelle opere tanto tempo fa, dove sarebbero ora? Ma adesso, nello stato d’animo di perdita irreparabile che avvertiamo, ne siamo gelosi. Irrazionalmente. Qualunque cifra ci venisse offerta ci apparirebbe insufficiente, non potrebbe mai compensare la perdita, il dissolversi del meglio di noi. Se cediamo alle offerte, ne soffriamo come per un tradimento. Ma anche questa è pazzia. Illusione.

Un tempo, ed è triste verità, avevamo con facilità l’estro di aprire la porta dell’immaginazione, e quel gesto compensava la pochezza della vita, l’insufficienza del vivere che avvertivamo già come una catena. Una catena da dover sopportare perché quel miracolo potesse avverarsi. Oggi non siamo più così vogliosi di inseguire le chimere dell’immaginario, ed è come se ci accingessimo a morire innanzi tempo. Siamo morbosamente legati a ciò che realizzammo un tempo, perché non siamo più così sicuri che potremmo ancora realizzare con quella stessa esuberanza, quella sicurezza che ci caratterizzava irriverenti, ribelli, al divenire illogico, senza alcun senso, della vita biologica.

Non ho mai compreso appieno quegli artisti che producono a dismisura. Non li ho mai sentiti del tutto autentici nel lavorare con forza in direzione della verità dell’essere. Ma forse il mio rigore luterano a volte, non è abbastanza indulgente. Il mio giudizio sferzante non si riferisce certo agli artisti di corte che avevano, un tempo, un compito istituzionale. Io mi riferisco invece all’artista di oggi, il disincantato, il commediante in un ruolo minore, marginale. Colui che è consapevole che niente è più sacro e dunque, tutto può essere opera satanica. Produrre centinaia e centinaia di opere, spesso senza anima, a quale scopo? Mi capita però spesso di dimenticare nella mia visione irriverentemente romantica il mercato, l’esigenza di vivere, di sopravvivere, l’infernale necessità che lavora costantemente contro la libertà dell’opera.

Non riesco a pensare tuttavia, con ragionevolezza, a più di qualche centinaio di opere in una vita, al più, un migliaio. D’altra parte a cosa si riduce di significativo la vita di qualunque uomo che non possa essere compensata da poche centinaia di lavori?

Nella dismisura c’è puzzo di zolfo, c’è compiacimento di sé, c’è gratuito edonismo, lo spirito che burla se stesso.

Anche per la via estetica occorre ripartire da un testo che per molti versi è stato una pietra miliare per la filosofia moderna: il Tractatus di Wittgenstein, che tra pochi anni celebrerà il centenario dalla prima pubblicazione (1921). Considerato o di converso, non considerato abbastanza, quel libro essenziale del Novecento europeo, avrebbe dovuto essere il punto di partenza della riflessione sull’esperienza estetica con tutto ciò che consegue, a partire dagli anni venti dello scorso secoli fino a noi.

Il Tractatus, circoscrive la “dicibilità del mondo” confinandola nelle rappresentazioni delle scienze naturali. Constatazione impietosa di quanto poco fosse veramente comprensibile, alla logica del linguaggio, di quella realtà del mondo consistente in fatti.

Questa estrema conquista fu insieme lo scacco di Wittgenstein che abbandonò, dopo questo lavoro, per molti anni la stessa filosofia, anzi, si risolse a mutar radicalmente vita.

Fu chiaro ed incontrovertibile che al di là della parcellizzazione specialistica delle scienze naturali, restavano per sempre fuori dal “dicibile” sia tutto ciò che concerne la metafisica esistenziale, sia, appunto, l’espressione estetica che “è e non argomenta”.

Mentre ciò che è possibile indagare attraverso le scienze si è ancora di più approfondito dal tempo del Tractatus, né la via mistica né il campo dell’espressione estetica ha permesso conquiste significative, almeno in Occidente, di pensiero e/o azione.

L’espressione artistica addirittura è arrivata a coincidere proprio con una continua, aberrante, assurda concettualizzazione senza fondamento logico, e dunque un discorso che si potrebbe tranquillamente definire l’argomentare del non senso.

Pochi si sono resi conto di aver infilato la testa in un sacco senza possibilità di uscita nel tentare spiegazioni pseudoscientifiche dell’espressione artistica e tanto meno gli artisti, quasi mai rigorosi nell’impeto della passione. Infatti testi e manifesti di movimenti e gruppi attivi nel Novecento, sono composti in gran parte di astruse argomentazioni alle quali corrisponde in genere un affannato nulla espressivo, mentre altre volte, e per fortuna, la verità delle loro opere è ben superiore a tutte le astruserie concettuali che le hanno viste nascere.

La lezione del Tractatus, attraverso un giusto approfondimento, avrebbe potuto consistere in una necessaria esplorazione di nuove vie dello spirito, verso un al di là logico, per arrivare dove il linguaggio logico metodico ha ben compreso di non poter arrivare e quindi di non poter dire. Pochi, pochissimi hanno compreso l’importanza di quella delimitazione di campo necessaria tracciata da Wittgenstein. Si sono invece, esplorate da molti, vie dell’effimero, con miseri risultati che presentano, per accompagnamento, quelle dense e insensate argomentazioni cui si è fatto cenno. Una miseria solipsistica almeno quanto una modernità che è caratterizzata, fondata, dalla rinuncia a capire in profondo, i quesiti essenziali dell’esistere.

A me è parso che la via estetica fosse praticabile proprio a partire da quel nodo essenziale che è l’esistenza. Fin dall’inizio mi fu chiaro che si trattava e si tratta di arrivare, per vie non razionali, (superando in tal modo l’angustia del pensiero neopositivista anglosassone), all’espressione artistica non in relazione ai fondamentali delle scienze naturali, ma all’opposto, ai desideri, alle esigenze dello spirito sul quale nulla si può dire al di fuori e dalla via estetica e dalla via mistica. L’arte più interessante della modernità, via via fino ad oggi, è quell’agire in sintesi, ma questa parola non arriva ad illustrare bene ( e non potrebbe farlo in ogni caso, secondo la lezione del Tractatus), una sorta di amalgama tra ciò che sappiamo e utilizziamo del mondo in certezze logiche e ciò che sentiamo essere possibile oltre quel limite. Mi viene in mente ad esempio, l’esperienza di Antoni Gaudì nella Sagrada Familia” dove in una fusione unica, l’esperienza razionale, la via mistica e l’espressione artistica, trovano soluzioni unitarie altissime, insuperate, e insperabili, a voler restare nella limitazione paralizzante di una conoscenza puramente razionale.

Giunto attraverso l’analisi logica del linguaggio alle soglie dell’indicibile, non restava che abbracciare il silenzio. Wittgenstein lo fece con determinazione. Scomparve allontanandosi dalla filosofia, anzi si dileguò per anni dal mondo, anni dei quali non sappiamo nulla. Trascorse il tempo facendo il maestro elementare in un piccolo paese fino all’espatrio in Inghilterra, per “motivi razziali”, come moltissimi altri in quel tempo. Ma anche in quel Paese, nonostante una cattedra universitaria di prestigio, si circondò di pochi e fidati allievi vivendo, appartato, in una piccola casa con soltanto una sedia per arredamento. Il dramma dell’uomo che scopre il silenzio del Deus absconditus, va ancora una volta in scena.

Il mistico, colui che sa che la realtà dei fatti, la realtà costitutiva del mondo, non è tutta la realtà possibile, si mostra, senza bisogno del linguaggio fatto di segni interpretativi. Si mostra allo stesso modo dell’oggetto creato nell’azione estetica, dell’espressione artistica, la quale, come anche la vita di Gaudì curiosamente mette in evidenza, non è meno “impossibile” ad essere vissuta se non con la sublimazione nell’opera, continua ed incompiuta.

La prigione durissima dell’esistenza è insensibile, indifferente alle domande, alle grida dell’uomo perso nel suo desiderio di conoscere sempre insoddisfatto, nella sua impossibilità a comprendere oltre i propri deboli strumenti, nella sua dolorosissima solitudine in “infinito universo e mondi”.

(Continua)

15/01/2018, Antimo Mascaretti

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