PROVE D’AUTORE (PER MANO SINISTRA) (XIV)

di Antimo Mascaretti

Il disagio del sognatore: Emilio Villa – (un contributo alla storia dell’emarginazione culturale in Italia).

Che il nostro paese abbia in spregio persino il termine “cultura”, nonché naturalmente la sostanza di essa, lo si comprende dal vezzo di abbinare questa parola con le più sordide compagnie, tutte o per lo più, ammiccanti alla politica del momento.

Così il Paese, analfabeta irredimibile di ritorno, malgrado lo spreco di risorse per riempire stomaci di professori a coorti, insegnanti non si sa cosa, la “buona scuola” (ma per favore!), se si giudicasse a guardare dai risultati dell’ultimo ottantennio, ristagna nelle barbarie mentali più vicine agli uomini delle grotte di Altamira che al secolo che ci vede vivere. Ma anche questa verità, che non si può dire di certo nuova, non si può neppure dire, per non suscitare il livore del “buon governo”.

Tuttavia se ci si vuole ancora sorprendere, “ma positivamente, non negativamente” nel rosicchiare con la mente le carte di personalità ai margini (le sole che valga la pena ancora di leggere, essendo l’appiattimento al conformismo letterario ancora più levigato che quello che ammorba le arti un tempo definibili e definite “visive”, ed oggi chiamate con termini di varia bizzarria, può capitare di imbattersi in casi singolari, come quello di Emilio Villa.

Emilio Villa fu poeta, ma anche un vulcano di svariate altre propulsioni atomiche: artista, profeta, scopritore di talenti, lanciatore di giavellotti luminosissimi nello spazio dell’arte del dopoguerra come Fontana, Capogrossi, Colla, Nuvolo, Burri, per citare solo nomi oggi noti anche al gommista sotto casa. Essere poeta già sarebbe bastato per avere le carte in regola per un permanente disagio tra mille difficoltà a vivere il quotidiano (in questo Paese si sa, è meglio attrezzarsi a politico o a rappresentante di qualcosa, se si vuol vivere senza pensieri, piuttosto che affrontare campi ristretti ed ardui dove il cervello e la creatività sono o dovrebbero essere, i padroni di casa). In verità, oggi, ad un ignaro totalmente dell’opera di Villa, è ben difficile comprenderne la portata e la vastità. Lo stesso poeta, certo, si è adoperato attivamente a disperdere quanto più poteva, opere ed inediti nati e cresciuti in imprese strampalate e velleitarie spesso fallite sul nascere. Villa fu ad ogni modo, studioso di lingue arcaiche, come la sumera, la fenicia e la mesopotamica, fu biblista e traduttore del grande testo sacro, fu traduttore altresì dal greco e critico d’arte, propugnatore di una modernità altrettanto remota nel tempo come le amate lingue scomparse nei secoli.

Fu profeta d’arte. Che si intende per profeta? Si tratta in questo caso di un intellettuale dotato di intuito raro e profondo nel penetrare ancor prima e a volte in modo più consapevole dell’artista stesso, l’evento di un’opera straordinaria.

Il fato ha contribuito all’ oblio dell’opere di Villa, oltre che l’ostracismo costante e pervicace della critica istituzionalizzata di derivazione universitaria, coloro che Villa amava definire burocrati, “statistici” dell’arte.

Nella mia attività artistica, verso la fine degli anni ’70, ebbi modo di incontrare in una manifestazione Emilio Villa, io però, mi muovevo ancora nell’incertezza di chi non ha trovato il proprio sentiero, sperimentavo linguaggi in modo indeciso, non convinto io stesso di quanto andavo intraprendendo, così quell’incontro avvenne “troppo tardi” per giovarmi nel lavoro, ma non tanto per non comprendere l’importanza di quella figura di intellettuale, davvero rara nel panorama asfittico dell’ Italia di quei tempi. (Ma potremmo tranquillamente aggiungere, di sempre).

Villa era in continuo movimento non si sa bene se spinto dalle proprie necessità esistenziali, quotidiane, sempre angoscianti, o sulla traccia di un artista misconosciuto, di un opera da rivendere a qualunque prezzo.

L’idea che dell’arte andavo maturando in quegli ultimi anni di formazione “segreta”, portati avanti cioè senza mai mostrare in pubblico i miei lavori che cominciavano ad accumularsi fin dalla fine degli anni ’60, contrastava con la concezione dell’arte di Villa. Anzi, io mi orientavo consapevolmente, con lo sguardo rivolto indietro, verso un tentativo di recupero della tradizione, almeno quanto Villa propugnava un continuo rinnovamento, un vertiginoso progresso indefinito della nuova arte. Quella diversa visione, che non potevo non rilevare alla lettura di ogni testo villiano che il poeta andava disseminando su riviste e giornali poco noti e di breve vita, non mi impediva di ammirare però, lo stile di quei testi, l’originalità creativa nel rimestare insieme lingue arcaiche e moderne concetti gnostici e visioni dell’avanguardia più smaccata. Che Villa fosse figura importantissima per l’arte italiana di quegli anni, mi era ben chiaro, anche se si trattava nel mio caso, di un’ammirazione da dissenziente. Io avevo intanto “incontrato” Francis Bacon, un meteorite, un pezzo di Kriptonite sconosciuta ed estranea per quei tempi, in cui cazzeggiava, tra martini e cocaina, la “seconda scuola romana” di piazza del Popolo, e fu, quel sopravvissuto di Kripton, un incontro che ebbe in me, vasta eco.

Qualche anno fa, forse più di una decina, dopo la pubblicazione di un volume dedicato a Villa ed edito con il contributo della Fondazione Baruchello, mi venne l’idea di scrivere cosa ha significato per me l’opera di Villa, anche in relazione alle mie scelte stilistiche, ma i tempi non erano quelli giusti. Altri impegni non rinviabili mi impedirono di portare a termine il progetto. Oggi, è quasi impossibile reperire opere di Villa sul mercato editoriale. Non ci resta che mettere almeno in evidenza punti salienti della sua poetica in relazione alle arti. Per le arti figurative, Villa fu indubbiamente dotatissimo nella lettura critica delle opere. Bastava un nulla per comprendere le potenzialità di un artista, il suo intuito andava ben al di là di quanto una qualsiasi opera mettesse in mostra. Questa facoltà gli ha permesso di scrivere saggi di vena profetica su artisti oggi ritenuti importanti, e forse molto della loro importanza nel mondo dell’arte, la devono proprio al contributo di Villa alla loro opera. Villa infatti, non si limitava ad osservare criticamente un opera ma, intuendo il pensiero dell’artista, lo spingeva fino al limite delle potenzialità, mostrando capacità in questo senso davvero sbalorditive.

Successivamente altri critici si avvantaggiarono della sua lezione interpretativa, critici però, più furbi, più attenti al loro tornaconto economico e più sensibili ai riconoscimenti del sistema di potere che regna nella politica, ed anche nell’arte. Villa fu essenzialmente poeta, un sognatore entusiasta di un potere sommo dell’arte, che la parola doveva aiutare a riconquistare. Utopia nobile come si può ben capire, destinata però a naufragare di fronte al mercato che Villa contestava nella sua ottica deformante, con grande forza, nonostante le sue necessità esistenziali. Quel mercato che se solo avesse voluto, lo avrebbe tratto fuori da qualsiasi problema economico.

Tutta la vita Villa rimase fedele alla sua natura non semplice, di uomo avvezzo alle difficoltà materiali fin dalla prima giovinezza, quando fu costretto ad entrare in seminario per poter usufruire, ad un livello di qualità accettabile, di una profonda educazione scolastica.

Spirito inquieto dai molteplici interessi, intelligenza acuta, dai seminari passò a studiare all’Istituto Biblico di Roma, dove però uscì senza un attestato di diploma, se ne andò sbattendo la porta, quando la sua anima sentì troppo strette le maglie di ferro di una lettura conformista e ortodossa dei testi sacri.

A Villa, individualista scettico, toccò di vivere nel periodo forse il meno indicato per una personalità del suo tipo: il periodo del ventennio fascista, che il poeta però visse appartandosi, del tutto estraneo alle vicissitudini del regime. Per Villa, la storia non è che storia di fallimenti e di errori, le cui conseguenze sono poi da sopportare dalle sofferenze dei popoli. Profondamente scettico e dotato di spirito critico fino all’eccesso, Villa non poteva non allontanarsi ben presto anche da quel cristianesimo nel quale era stato forzosamente educato negli studi in seminario. La visione di un uomo che svolge la storia personale e quella collettiva con una finalità ben precisa, non poteva essere accettata da una personalità vulcanica e mutevolissima come quella di Villa. In queste poche pagine vorrei però mettere l’accento soltanto sull’interesse di Villa per le arti figurative, lasciando da parte, per quanto possibile, il Villa poeta e lo studioso di lingue antiche.

Gli scritti del poeta ed anche le poesie dedicate all’arte e agli artisti, furono innumerevoli, molti dei lavori di Villa rimasero inediti e purtroppo, nei vari spostamenti dovuti a vicissitudini esistenziali, andarono in gran parte perduti assieme ad una mitica cassa di cui nessuno ha più saputo nulla.

Nel 1951, troviamo il poeta in America latina, più precisamente in Brasile, una assai breve parentesi però certamente significativa per il poeta sia sul piano esistenziale sia per l’accrescimento di stimoli culturali di cui era estremamente avido. Si trovò in Brasile perché si fece coinvolgere da Pietro Maria Bardi, personaggio assai importante anch’esso per la storia dell’arte non conformista italiana del ‘900. Uomo di grande intuito artistico e abilissimo nella capacità organizzativa, Bardi fu gallerista di grande talento negli anni del ventennio, fu fascista, ma mentalmente libero al punto da infastidire i conformisti del regime e successivamente, i conformisti, cosiddetti democratici, del regime che seguì il ventennio.

Bardi, costretto all’ angolo dalle rappresaglie e vendette, tipiche del dopo guerra, ebbe la grande intuizione di recarsi in Brasile su invito di un potente personaggio dei tempi, il giornalista Alessis Chateaubriand. Concretamente svolse un importantissimo ruolo di iniziatore per quel Paese per ciò che riguarda l’arte moderna fondando il MASP ( Museo d’Arte di San Paulo), la sede del quale, opera notevole, fu realizzata dall’ architetto italiano Lina Bo, moglie del Bardi. Proprio in quel grande fermento culturale del tutto nuovo, cercò di coinvolgere Villa. Il poeta si lanciò in un primo momento con grande energia nel nuovo ruolo di curatore di schede e selezionatore di opere, interessato anche a conoscere nuove culture, ma svolse quell’ importante compito per lo più in disparte. Non avendo capacità di adattamento alle logiche connaturate ad ogni tipo di potere, e sentendo strette le funzioni che gli erano state assegnate, che mal si adattavano al suo carattere vulcanico di suscitatore di iniziative e ideatore di progetti, decise di ritornare in Italia, dove però, nonostante Bardi lo aiutasse per molto tempo a distanza, ricadde subito nella precarietà economica che ha accompagnato quasi tutta la sua esistenza.

Nel mio interesse giovanile per il teatro, mi capitò di scoprire alcuni testi che Villa scrisse sul teatro di Burri, ed in seguito ebbi modo di conoscere anche altri suoi scritti per l’artista umbro, di certo una degli artisti che più stimolarono l’interesse di Villa.

Villa interpreta Burri con un linguaggio a cui si affida totalmente, facendone un’opera concreta a sua volta, non solo un mero racconto critico interpretativo.

Il rapporto di Villa con la cultura del suo tempo fu di totale eccentricità. Amato dagli artisti con cui era umanamente in sintonia anche quando il suo giudizio critico sulle loro opere non era del tutto favorevole, Villa fu sempre osteggiato dalla critica accademica e mal compreso o del tutto incompreso, dai burocrati che sempre sono stati l’assillo dei creatori più autentici nel nostro Paese. Naturalmente non c’è a aspettarsi che qualche folle si azzardi oggi, (in cui i giovani e meno giovani di pari ignoranza vanno in giro col fregnetto in mano, eternamente “connessi”), a tentare di recuperare gli scritti dispersi di Villa per curarne una nuova edizione organica. Questo è un Paese di scrittori per modo di dire, dei quali le cento copie o poco più, che vengono lette da colf, badanti e collaboratrici familiari in attesa, durante l’ora d’aria ai giardini pubblici, costituiscono si sa, un grande successo editoriale. Non faccio nomi per non essere accusato di essere un incitatore alle pessime letture. Questo compito lo lascio alle televisioni. Beh, è questo che c’è qui, ragazzi, non lo avete capito? Tra un quiz ed un altro, Tra un Vespa e un motorino, in arte abbiamo quelle solite “mezzecucchiare” ai quali a volte io accenno, e che ci ostiniamo a pensare “grandi artisti”, e nella narrativa quelle “mezzepenne”, campioni e soprattutto campionesse, di alta merdocrazia. Non c’è altro. Fatevene una ragione!

(Continua)

29/01/2018, Antimo Mascaretti

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