PROVE D’AUTORE (PER MANO SINISTRA) (XIX)

di Antimo Mascaretti

Agesilaus Santander (Figure del destino in azione)

Un uomo in fuga, un uomo in pericolo di vita, finisce per rifugiarsi ad Ibiza, dove aveva già vissuto gran parte dell’anno precedente, soltanto perché, in quel tempo, in località come Ibiza, si viveva in concreto a costo zero. Quest’uomo scrive due testi in due versioni diverse, a distanza di due giorni. La prima versione, più breve e più ermetica, la seconda, quella definitiva, più dettagliata ma non meno oscura ad una prima lettura. Lo scritto appare molto autobiografico. Che si tratti di qualcosa di molto importante per l’autore, ci induce a crederlo la doppia stesura che sembra motivata da una esigenza di maggiore spiegazione nell’interiore necessità di essere “intellegibile nell’oscurità” dei molteplici riferimenti.

I due testi sono trascritti e conservati in un taccuino insieme con altri importanti scritti dello stesso periodo ed infine testimoniano l’importanza attribuita ad essi, le abitudini di quell’uomo singolare di lavorare incessantemente sul testo e la sua volontà spesso necessaria di voler occultare in scritti ermetici ciò che aveva di più caro nel fondo dell’anima. L’Angelo, d cui si tratta nello scritto, si era manifestato già da lungo tempo, ed aveva indotto l’autore a riconoscerlo nella sua casuale apparizione, nell’opera di un artista assolutamente originale. Egli era null’altro che il “suo” Angelo, colui che avrebbe dovuto accompagnarlo (anche se spesso solo nel pensiero), per gli anni difficili e cruciali in avvenire, fino alla fine.

L’immagine dell’angelo, ma è evidente che si tratta di ben altro, era così preziosa per il nostro uomo, che nelle sue continue peregrinazioni egli se ne preoccupava come di un bene preziosissimo, cercando accuratamente di metterlo in salvo dalle sue tormentate vicissitudini di vita. L’uomo aveva consapevolezza delle infinite possibilità dell’esperienza mistica che non va intesa unicamente come semplice suprema dimestichezza con la divinità dei più fortunati.

Ma leggiamo di seguito, le due versioni del testo.

Agesilaus Santander (Prima versione)

Quando nacqui, ai miei genitori venne l’idea che avrei forse potuto fare lo scrittore. In tal caso sarebbe stato opportuno che non tutti si accorgessero subito che ero ebreo. Perciò, oltre al mio nome, me ne diedero altri due, molto insoliti. Non voglio rivelarli. E’ già abbastanza che quarant’anni fa dei genitori fossero così lungimiranti. Ciò che essi avevano intravisto come lontana possibilità si è verificato. Senonché le misure prese con l’intento di prevenire il destino sono state vanificate dall’interessato. Invece di rendere pubblici coi propri scritti i due nomi precauzionali, egli li ha tenuti chiusi in sé. Ha vigilato su di essi, come un tempo gli ebrei sul nome segreto che davano a ciascuno dei loro figli. I quali non venivano a conoscerlo che il giorno del loro ingresso nell’età adulta. Poiché però, un tale avvenimento può capitare nella vita più di una volta e forse non ogni nome segreto può restare sempre uguale ed immutato, la sua trasformazione può indubbiamente rivelarsi con una nuova pubertà. Non pertanto esso resta il nome che aduna in sé tutte le energie vitali, il nome col quale queste vengono evocate e protette dai profani.

Questo nome tuttavia non rappresenta in alcun modo un arricchimento per colui che lo porta. Molte cose gli toglie, ed in primo luogo il dono di apparire in tutto quello di prima. Nella stanza da me abitata ultimamente, quegli – prima di emergere alla luce dell’antico nome attrezzato e instradato – ha appeso alla parete la propria immagine: Angelo Nuovo. La Kabbalah racconta che Dio crea ad ogni istante un numero sterminato di nuovi angeli, tutti destinati soltanto a cantarne per un attimo le lodi davanti al suo trono prima di dissolversi nel nulla. Il mio era stato interrotto in tale compito: i suoi tratti non avevano alcuna sembianza umana. Egli peraltro mi ha fatto scontare di essere stato disturbato nella sua opera. Approfittando, infatti, della circostanza che sono venuto al mondo sotto Saturno – il pianeta della rivoluzione lenta, l’astro dell’esitazione e del ritardo – ha inviato dietro alla figura maschile del quadro la sua figura femminile per la diversificazione più lunga e più fatale, sebbene fossero ambedue già così strettamente vicine. Egli non sapeva, forse, di aver avvalorato in tal modo la forza di colui contro cui lottava. La mia pazienza infatti è assolutamente invincibile. Le sue ali somigliano a quelle dell’angelo per il fatto che pochissimi colpi sono loro sufficienti per mantenersi immutabilmente in presenza di coloro che essa è decisa ad attendere. Ma la mia pazienza, che al pari dell’angelo possiede artigli e ali affilate come lame, non accenna a precipitare su coloro che ha avvistato. Impara dall’angelo, che avvolge con lo sguardo il partner ma poi retrocede a scatti, inarrestabilmente. Se lo tira dietro in quella fuga verso un futuro da cui proviene. Dal futuro nulla di nuovo spera di più, se non lo sguardo dell’essere umano cui resta rivolto.

Così io, non appena ti ho veduta per la prima volta, ho fatto ritorno con te colà donde sono venuto.

Ibiza 12 agosto 1933

Agesilaus Santander (seconda versione)

Quando nacqui, ai miei genitori venne l’idea che avrei forse potuto fare lo scrittore. In tal caso sarebbe stato opportuno che non tutti s’accorgessero subito che ero ebreo. Perciò oltre al mio nome, me ne diedero altri due, inusitati, dai quali non si potesse arguire né ch’era un ebreo a portarli, né che gli appartenessero come nomi. Più lungimiranti non avrebbero potuto dimostrarsi, quarant’anni fa, due genitori. Ciò che essi avevano intravisto come lontana possibilità si è verificato. Senonché, le misure che aveva prese per prevenire il destino furono poi accantonate dall’interessato. Invece di rendere pubblico quel nome con gli scritti da lui redatti, egli si comportò infatti come fanno gli ebrei col nome aggiunto dei propri figli, che resta segreto. Anzi, glielo comunicano soltanto al loro ingresso nell’età adulta. Poiché però l’avvento dell’età adulta può, nella vita, verificarsi più di una volta e forse il nome segreto resta uguale e immutato soltanto nell’uomo pio, a colui che non lo è il mutamento del nome potrà rivelarsi di colpo con l’avvento di una nuova età adulta. Così è accaduto a me. Ma esso resta nondimeno il nome che serra le energie vitali in un nodo strettissimo e che deve essere protetto dai profani.

Questo nome tuttavia non rappresenta in alcun modo un arricchimento per colui che lo nomina. Al contrario, molte cose toglie alla sua immagine, non appena è proferito. Esso perde anzitutto il dono della sembianza umana. Nella stanza in cui abitavo a Berlino, quegli, prima di uscir fuori dal mio nome attrezzato e instradato, ha appeso alla parete la propria immagine: Angelo Nuovo.

La Kabbalah racconta che Dio crea ad ogni istante un numero sterminato di nuovi angeli, tutti destinati soltanto a cantare per un attimo le lodi davanti al suo trono prima di dissolversi nel nulla. Come un tale angelo si palesò il Nuovo prima di volersi nominare. Senonché, temo di averlo sottratto per un tempo indebitamente lungo al suo inno. Del resto, me lo ha fatto scontare. Approfittando infatti della circostanza che sono venuto al mondo sotto Saturno –l’astro della rivoluzione lentissima, il pianeta delle diversioni e dei ritardi- ha inviato dietro alla figura maschile del quadro la sua figura femminile per la diversione più lunga e più fatale, sebbene ambedue – pur senza conoscersi – fossero state un tempo intimamente vicine. Non sapeva, forse, che in tal modo la forza di colui che intendeva colpire si sarebbe potuta manifestare nella maniera migliore: cioè con l’attesa. Non appena quest’uomo si imbatteva in una donna che lo avvinceva, improvvisamente decideva di mettersi in agguato sul suo cammino, ad attendere finché, malata, invecchiata e in vesti logore, fosse caduta nelle sue mani. In breve, nulla avrebbe potuto fiaccare la pazienza dell’uomo. E le ali di tale pazienza somigliavano alle ali dell’angelo per il fatto che pochissimi colpi erano loro sufficienti per mantenersi a lungo, immutabilmente, alla presenza dell’oggetto da cui l’uomo era deciso a non staccarsi più.

Ma l’angelo somiglia a tutto ciò da cui io sono stato costretto a separarmi: alle persone, ma soprattutto alle cose. Alberga nelle cose che non ho più. Le rende trasparenti, e dietro ciascuna di esse mi appare la persona cui è dedicata. Per tale ragione sono insuperabile nel donare: Anzi, l’angelo è stato forse attratto da un donatore rimasto a mani vuote. Poiché egli stesso, che possiede artigli e ali appuntite, anzi affilate come lame, non accenna a precipitarsi su colui che ha avvistato. Lo tiene d’occhio risolutamente – a lungo, poi retrocede a scatti ma inesorabilmente. Perché? Per trarselo dietro su quella via verso il futuro da cui è venuto e che conosce tanto bene da poterla percorrere senza voltarsi e senza perdere d’occhio colui che ha prescelto. Vuole la felicità: il contrasto a cui l’estasi dell’unicità, della novità, del non ancora vissuto, è unita a quella beatitudine della ripetizione, del recupero, del vissuto. Perciò non ha speranza di novità per altra via che non sia quella del ritorno, quando conduce seco un nuovo essere umano, così come io, non appena ti ho veduta per la prima volta, ho fatto ritorno con te colà donde sono venuto.

(Per i due brani riportati, mi sono avvalso della versione italiana contenuta in: W.Benjamin – Opere complete –vol. V Einaudi Editore).

Non meraviglia che in una mente acuta quale quella di Peter Szondi, sia potuto sorgere il dubbio che potesse trattarsi di una visione o un sogno (poi precisato nelle due versioni), avuto sotto l’effetto di febbre malarica, sappiamo infatti che il nostro uomo soffrì anche di questa incresciosa malattia in quell’anno fatidico, almeno ciò è documentato per i mesi successivi alle date degli scritti in questione, tanto da essere indotto a tornare a Parigi nell’ottobre dello stesso anno 1933.

Pare che Szondi abbia prospettato in un seminario questa possibilità però respinta da Scholem, per una serie di considerazioni basate essenzialmente sulla conoscenza intima dell’autore, ed in vero, nessuno può escludere che l’origine degli scritti sia nelle conseguenze degli attacchi di febbre dovuti alla malattia. La malattia non è raro, è provvidenziale per puntualizzare e rendere chiari aspetti di un’esistenza, e non è neppure raro che alcune malattie si presentino come necessarie perché alcune verità siano finalmente libere di affiorare alla coscienza. Verità oscure e scabrose e sempre dolorose.

Scholem, che ben conosceva Benjamin, azzarda una spiegazione dei testi che si può leggere in italiano in “Walter Benjamin e il suo angelo” (Ed. Adelphi). Testo ricco di riferimenti alla cultura ebraica e all’influenza che essa innegabilmente ebbe sul nostro autore. Tuttavia questo scritto esplicativo prende l’avvio da una mera ipotesi come lo stesso Scholem non esita ad ammettere. Nell’anagramma è vero, in molti hanno tentato di occultare segreti, e ad occultarsi per quanto era in loro potere, e Benjamin apparteneva alla schiera degli appassionati scavatori di significati reconditi nei recessi delle parole e finanche nelle stesse singole sillabe e radici. Così “Agesilaus Santander” potrebbe con ogni probabilità racchiudere un oscuro anagramma, (non avendo un chiaro riferimento le due parole con la storia personale dell’autore), il “Der angelus satanas” indicato da Scholem. Satana però pur avendo gli artigli, non può annoverarsi tra gli angeli nuovi, almeno secondo la più corretta tradizione, non lo è mai stato, ma è “il mentitore” per eccellenza… Qualche elemento mi induce a credere che il nome segreto che racchiude, in ogni caso, la forza primigenia onde necessita di essere occultato agli estranei, si riveli nella potenza dell’amore ritrovato e dunque, rinato.

Nello stato di innamoramento, la pubertà che si identifica follemente nell’ebrezza giovanile, si rinnova perennemente, ed il nome segreto assume e riflette prerogative che non pensavamo nostre.

Nello stesso taccuino dove Benjamin ha appuntato i due testi, editi postumi, ci sono due componimenti poetici che tutti sanno essere quasi un’appendice ad Agesilaus Santander, le poesie sono dedicate ad Anna Maria Blaupot Ten Cate, un’olandese che Benjamin aveva conosciuto ad Ibiza e di cui si era innamorato: ”… nulla più conseguono proposito o volontà…

Da quando il primo sguardo ha ravvisato in te

La doppia padrona: puttana e sibilla”

Questi sono gli ultimi versi del secondo componimento poetico. Mi pare di udire l’eco dell’ultima frase dell’Agesilaus: “Così io non appena ti ho veduta per la prima volta…”

Nello stesso periodo, in alcune lettere Benjamin scriveva frasi come queste:

“…Trovando quest’alloggio io ho ridotto i miei bisogni vitali e di costi di vita ad un minimo sotto il quale è pressoché impossibile scendere. In tutto questo il fatto straordinario è però, che tutto rimane dignitoso e che se qui mi manca qualcosa è sul piano delle relazioni umane piuttosto che su quello della comodità” (lettera a Julia Radt 24/7/1933). Tuttavia qualcosa di nuovo doveva pur essere accaduto ad Ibiza nell’incontro con Toet (così la donna voleva essere chiamata da Benjamin). Questo nuovo amore sembra doversi armare di pazienza, forse non si tratta di passione così trascinante per entrambi e dunque con ostacoli, ma l’angelo, che Benjamin conosce come la sua guida e il suo costante riferimento nelle occasioni più cruciali, permette riflessioni sulla sua esistenza molto illuminanti. Come uno specchio, l’angelo riflette le angustie e gli avvenimenti angoscianti, ma nello stesso tempo permette di nominare le cose e alle persone dona un destino nella memoria. Nell’atteggiamento amoroso rivela tutta la sua aspirazione alla felicità, di cui non ho mai letto definizione filosofica più pregnante di quella che Benjamin dà.

Satana non potrebbe desiderare felicità per l’uomo, se non apparente. Nella fusione degli sguardi, l’amore rivela il carattere divino e così l’angelo che attrae con lo sguardo costante verso il futuro che già conosce, perché nulla muta nel mutamento “ciclico”, non può tornare per quella via a cui volge lo sguardo per non perdere quello dell’umano che ha catturato nel suo. L’angelo è lo stesso testimone della storia:

“ C’è un quadro di Klee che si chiama “Angelus Novus”. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca aperta, e le ali sono dispiegate. L’ angelo della storia deve avere quest’aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena d’avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può non chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso è questa bufera.

(W. Benjamin-Opere complete- Vol. VII Einaudi Ed.)

Amori infelici, Julia Cohn, Asia Lacis, opportunamente ricordati da Scholem, rappresentano le catastrofi individuali insieme alle angustie del presente di una vita precaria e perennemente in fuga, ma tutto si stempera nell’incontro, al cospetto di una nuova passione: “Così come io, non appena ti ho veduta per la prima volta…” finalmente “completato”, lo spirito non può non decidersi a tornare verso là dove tutto ebbe inizio, dove tutto cominciò ad accadere.

Destino individuale e destino universale hanno come unico testimone l’angelo, “impigliato nella bufera”.

Devo però confessare terminando, e con un certo disagio, che in sogno durante un sonno inquieto, mi è parso d’intravvedere una nave, forse il cargo su cui Benjamin arrivò, pieno d’angoscia, ad ibiza, con un nome in bellavista trascritto sotto la prora: “Agesilaus Santander”.

Nota: Il quadro di Klee “Angelus Novus” (1920), fu acquistato da Benjamin, e suppongo anche con molte difficoltà. Benjamin per quanto poté nelle sue peregrinazioni lo tenne sempre con sé, privandosene solo per brevi periodi e quando costretto dalle circostanze. Lo lasciò in eredità al suo amico Scholem che in seguito lo ha donato al Israel Museum di Gerusalemme, dove oggi si trova. Un’altra opera realizzata dall’artista tedesco Anselm Kiefer, e ispirata all’idea di “Angelo della storia” secondo l’interpretazione di Benjamin e appunto intitolata allo stesso modo, si trova curiosamente presso lo stesso Museo.

(continua)

05/03/2018, Antimo Mascaretti

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