PROVE D’AUTORE (PER MANO SINISTRA) (XXI)

di Antimo Mascaretti

Prove d’autore (per mano sinistra) XXI

Un impressionista in discarica

“ L’ arte è la stessa vita, e la vita è come la corrida: alla fine,

uno dei protagonisti ne esce morto”

Nel destino si nascondono come correnti nel mare, le misteriose motivazioni che favoriscono o contrastano un evento.

Chiedersi il perché ciò avvenga è andare oltre il consentito, è una sfida all’ ignoto, persino un atto di superbia per alcune religioni.

Eppure è veramente interessante a volte ripercorrere il cammino sotterraneo d’intricati grovigli di fatti e motivazioni nonché di casualità, che sembrano spingere un’esistenza a volte all’apice, a volte nell’oscurità dell’oblio.

Louis Hayet fu pittore in un’epoca, “la Belle Epoque”, per molti splendida, per altri molto meno.

Nella mitologia che avvolge questo periodo storico che in pittura fu dominato prima dall’ impressionismo ed in seguito dal neo-impressionismo, essere un pittore affamato non era certamente uno stato che avrebbe stupito.

Nel caso di Hayet tuttavia, la fame e la necessità (cui s’inchinano anche gli dei, ricordiamolo), è il motivo sul quale la sua esistenza ha ballato fin dalla difficile infanzia e giovinezza.

Nelle ristrettezze, il talento di Hayet (come quello di chiunque, malgrado le credenze dei piccoli borghesi arricchiti), che pure era rimarchevole, non ebbe modo di affiorare prontamente.

Nell’esistenza stentata di tutta la famiglia che a lungo visse in posti di provincia, il talento di Louis si esercitò su qualunque cosa gli permettesse di vivere e contribuire nello stesso tempo al disastrato bilancio familiare (anche questo aspetto della vita di Hayet non sembra un’eccezione per l’epoca).

Decorazioni, incisioni su legno, piccoli lavori di intaglio e d’artigianato spicciolo, furono il suo modo di restare “creativo” e vivo contro le difficoltà.

Gli cambiò la vita, ma solo nel senso della raggiunta consapevolezza dei propri mezzi espressivi e quindi, nella certezza di essere un pittore ( più che per gli aiuti che ebbe), la conoscenza, favorita a quanto si racconta, da un piccolo collezionista di quadri, di Camille e Lucien Pissarro.

Ma nulla era più lontano dalle idee che frullavano in testa a Louis della “pittura libera” di Camille, e meno ancora Hayet si sentiva attratto dal giovane Lucien che considerava solo “l’ombra di Camille”.

Si impegnò nello studio di un testo d’ottica, in seguito nell’analisi della ricezione del colore, e finì per essere molto vicino ai “pointillistes” ma quelli “scientifici”, con a capo il grande Seurat.

La sua pittura invero, è più un accostamento a contrasto di colori che un’applicazione di teorie ottiche, ma l’effetto finale è molto simile ad una pittura in qualche modo “divisionista”.

Louis non faceva “vita d’artista”, se non nell’inventiva di costringersi a mille lavori, aveva una numerosa famiglia a cui pensare e tutta a suo carico, dopo la morte del padre. La morte per difterite si portò via improvvisamente, anche il suo padre spirituale Seurat, che era l’unico che avrebbe potuto certamente capirlo nei suoi esperimenti di pittura, e che avrebbe potuto avere un’influenza positiva su un artista molto lontano dalla necessaria preparazione culturale e tecnica, per poter essere un pittore consapevole e incisivo in un’epoca di mutamenti vertiginosi e che si stava avviando incontro a drammi mai visti prima.

Sperimentò per anni le sue teorie sulla ricezione dei colori, in pratica senza alcun contatto significativo con il mondo dell’arte.

Costretto dalle ristrettezze, finì per occuparsi di scenografie teatrali, nessuna delle quali è però arrivata a mostrarsi ai nostri occhi.

Fu a tal punto apprezzato nella sua arte di pittore, che il suo lavoro finì (quasi totalmente), in una discarica abusiva.

Qualcuno per ventura, si portò a casa diversi lavori sottraendoli alla distruzione e alla dispersione.

Hayet ebbe, grazie a quei reperti salvati, un momento d’interesse, verso la metà del secolo scorso. Studiosi, e qualche collezionista, si interessarono a quel poco che era sopravvissuto alla discarica e che nemmeno la famiglia aveva saputo apprezzare e comprendere, fatta eccezione per una sorella.

Nonostante questo interesse di nicchia, è rimasto del tutto sconosciuto ed il suo nome compare solo in qualche manuale specialistico in riferimento ad artisti “minori” del neo-impressionismo.

Il destino, come si sa, è impietoso, e così al di là di un piccolo interesse Hayet non poté aspirare.

Suo figlio, liberando uno dei suoi studi improvvisati durante la guerra del ’40, trovò, inchiodati in pila, cartoni e tele per due metri quadrati. A quanto sembra, anche lui se ne liberò, gettandoli via, nella necessità impellente di liberare i locali.

I lavori conservati invece dalla sorella sono quelli che sappiamo, furono gettati nella discarica alla morte di lei, per opera attiva di un commerciante dal “cuore a salvadanaio”, che aveva acquistato la vecchia e fatiscente casa.

La discarica come destino si avvicina alla distruzione del corpo, necessaria e finale.

Eppure si sente dire, che il talento è sempre ricompensato ed apprezzato magari alla distanza. Non mi risulta che in credenze ottimistiche e romantiche come questa ci sia molta verità.

Nelle sue sperimentazioni, Hayet prediligeva il cartone come supporto, ed in genere, i piccoli formati (necessità?). Per applicare certe teorie sulla ricezione dei colori, finì per dipingere su tessuti sottilissimi e trasparenti che si giovavano del filtro della luce di fondo che finisce per alterare in tal modo, l’effetto del colore agli occhi dell’osservatore del quadro.

I pochi lavori che sono sopravvissuti rivelano una mano sicura e bella resa, tutto nella tecnica che abbiamo definito vicina al divisionismo.

Anni fa, Guy Dulon e Christophe Duvivier pubblicarono un lavoro su Louis Hayet edito dal Museo di Pontoise, ma non si speri di trovarlo in circolazione.

Nell’epoca in cui Boldini e Surgent dipingevano i lussi e le sete, le passioni e le follie della “Belle Epoque”, Hayet lavorava oscuramente sui suoi poveri cartoni malati di modernità e sofferti, qualcuno di questi possono essere ammirati al Museo Pissarro di Pontoise. “Fiera di notte” ad esempio, un cartone fissato su tavola, degli anni 1888/89, ha un movimento che nella parte inferiore del quadro, preconizza Boccioni.

Nella solitudine gelida dettata dalla miseria, Hayet ebbe la calda stima che si rileva in alcune lettere scambiate tra Pissarro e suo figlio, stima dunque, di un gigante della pittura impressionista. E’ non è poco.

Per il resto, come per ogni altra cosa umana, non c’è stato che l’oblio.

Con questo brano tratto dal mio libro “Prove d’autore – (per mano sinistra), finisce la riproduzione dello stesso volume attraverso questo sito. Dal prossimo intervento, inizierò la pubblicazione di un altro mio volume, il mio primo romanzo, edito sempre in edizione limitata e numerata, in occasione di una mia esposizione di pittura. Il titolo di quell’opera, che ha ugualmente nella pittura la motivazione della sua esistenza, si intitola:

“Senza titolo – (volo aereo notturno)”.

A.M.

(continua)

26/03/2018, Antimo Mascaretti

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