Senza titolo (Ovvero: Volo aereo notturno) (V) Romanzo

di Antimo Mascaretti

Ci deve essere nell’aria fetida che ingurgitiamo con ansia, un anestetico, un barbiturico, un farmaco che come un leggero veleno, rende narcotizzati. Tutti dormiamo, tutto è diventato accettabile, ogni sopruso, ogni teoria irrazionale, che finirà per distruggere ciò che è rimasto ancora di sano, in questo paese. Le coscienze sono atrofizzate dal diabolico sonno, sono regredite a tumori cerebrali non operabili.

Individuato il nostro nemico, ci armiamo della nostra vocazione, pure cinicamente negata da molti, ma come si spezza ad una leggera pressione la grafite, sappiamo che anche la nostra battaglia si frantuma davanti al ridicolo, si tratta purtroppo di uno scontro goffo, inconcludente.

Ci sono segni, insieme all’aria fetida, segni che non possono che essere premonitori. La lettura attenta e quotidiana delle nuvole, come ho appreso da Schònberg, non lascia spazio a dubbi. Un mutamento è in atto, forse si tratta di una catastrofe, una caduta irrazionale, un ulteriore trionfo del diabolico, non si sa bene, non è dato sapere…

Molti tuttavia preferiscono guardare altrove, i più annaspano nella loro pozzanghera di alcool, di sostanze stupefacenti, che aiutano ad aumentare la narcosi, si lasciano andare a gesti incomprensibili, delitti, violenze di ogni genere. Si soccombe, affogando in sontuose miserie.

Non è forse per esorcizzare un sentimento molto simile a quello che ha spinto Teufel a relegarsi, nel suo tempo, a cosa di poco conto, che continuo a leggere le sue lettere in apparenza normali e pure incomprensibili?

Chi sarà stata la signorina destinataria delle missive? Il nome non viene mai menzionato, mentre insieme alla data si cita il luogo in cui sono state scritte le lettere. Compare, in ogni scritto, una sorta di rendiconto di ciò che si è realizzato, propositi, progetti, sogni da rincorrere ostinatamente, una nascosta necessità di trovare riscontri di opere già dipinte, a quale scopo? Appaiono, quelle lettere, come testimonianze del proprio inefficace libero arbitrio. Occorrerebbe conoscere il destinatario (ma le lettere saranno poi state spedite veramente? La mancanza di buste non fa chiarezza su questo punto), non mi rimane dunque, che ripartire da Widenmeyerstrasse a Monaco.

Un nuovo viaggio… non credevo mi sarebbe ancora capitato, mentre salgo sull’aereo sento una vena di follia crescere, non mi sarei messo in viaggio per nulla al mondo, mai più, avevo giurato, ed ora sono qui a subire tutti i fastidi che un volo oggi impone, per le norme rigorose dettate dalla paura generalizzata di atti inconsulti, di distruzioni programmate in nome di Dio.

Di primavera la città appare radiosa nella fresca mattinata, la primavera qui arriva quando da noi il caldo è già insopportabile da tempo, e l’aspetto che la città mi offre, appena varcata la soglia dell’aeroporto, è di un grigio perla diffuso nella scarsa luce del mattino. Mi sono fatto portare da un taxi al centro della città per recarmi, quanto prima possibile, in Widenmeyerstrasse. Senza logica in verità, a che serve passeggiare senza mèta? Cornacchie nere a gruppi affollano con schiamazzi, le maestose piante che costeggiano l’Isaar. Il tempo non sembra passato.

So per certo, (non ricordo chi me lo ha comunicato), che la vecchia signora titolare della galleria che ospitò la mia mostra si è ritirata, e forse, se ancora viva, sarà andata a vivere nel frattempo, in un lussuoso pensionato, magari in provincia. Dunque, non è stato azzardato venire qui, senza un piano preciso?

Ho portato però con me, un vecchio indirizzo di una conoscente della gallerista, un’amica di vecchia data, la stessa che mi ospitò molto gentilmente, in una delle occasioni di visita della città, all’epoca della preparazione dell’evento espositivo, per una decina di giorni.

Decido di andare a trovarla seppure col solo preavviso di una telefonata.

Gisela, così si chiama, ha un’ottima padronanza della lingua italiana, non avrò almeno problemi a tentare di farmi capire su argomenti oscuri che neppure a me stesso appaiono comprensibili, e che di fatto, determinano le mie azioni di oggi.

Attendo in un bar che il giorno avanzi quel tanto da non apparire insopportabilmente importuno, prima di suonare alla sua porta.

Ho telefonato nei pressi della sua abitazione, che non è lontana dal luogo dove un tempo era situata la galleria, ho giustificato la mia presenza in città con “alcuni interessi di natura artistica”, che però, preferivo precisare di persona.

La percezione del tempo trascorso si rivela con effetto specchiante, così accade che come a me appaiono segnati dalle rughe e dalla decadenza i conoscenti che non vedo da anni, temo improvvisamente che ai loro occhi, io susciti la stessa impressione, un brivido mi fa ripercorrere quasi trent’anni all’indietro. Con questa leggera vertigine, rivedo Gisela mentre mi apre sorridente la porta di casa. Perché poi dovrebbe essere differente da quel che è? Il tempo ci ha annientati tutti, a nostra insaputa. Gisela, già al tempo della mia mostra, non era di certo giovanissima, che stranezze mi faccio venire in mente?

“ Perché questa visita a Monaco?” – Gisela mi parla con un sorriso-

“Ho sempre immaginato che, dopo l’esperienza della mostra, non certo positiva, non ci saremmo più rivisti. Ed eccettuata qualche rara telefonata di cortesia in tanti anni, mi sembrava di aver avuto ragione…”

“Dì pure che non vedevo l’ora di andarmene!”

“La signora, che tu hai ben conosciuto, non è stata certamente per me, un’ospite squisita, con quel disprezzo sottile appena percettibile nelle finte gentilezze, sempre presente sulle labbra, tranne nei momenti in cui c’era necessità di parlare di affari e di denaro, nei momenti della valutazione delle opere…” – Gisela continuava a ridere benevola annuendo col capo – “Ma lasciamo da parte il buio degli anni trascorsi”.

“Devo raccontarti una storia singolare che mi ossessiona da qualche giorno” – e senza convenevoli racconto la storia delle lettere, del loro nascondiglio, di come sono tornate alla luce.

Racconto anche del mio colpevole ed imbarazzato silenzio con tutti, nel momento del ritrovamento.

Gisela si affretta a dirmi che non sa nulla di quella stranezza, non ha idea di chi potrebbe aver riposto le lettere in quello strano nascondiglio.

“Se fossi stato più chiaro, e telefonato per tempo, avresti potuto evitarti un viaggio che so bene quanto ti pesi, però adesso che sei qui, cercheremo di approfondire, per quanto è possibile farlo dopo tanti anni.

“La signora al momento del ritiro e prima di partire per un lussuoso pensionato – (come avevo bene immaginato) –mi ha lasciato le chiavi di un garage dove ha ammucchiato carte, documenti, ma anche disegni e indirizzi di artisti che nel tempo, ha ospitato in galleria. Ti confesso non sono mai stata in quel posto, tranne il giorno della consegna delle chiavi, il garage non mi è mai servito, dato che non possiedo auto, la signora non aveva parenti che io sappia, dunque nessun altro è mai entrato in quel luogo”.

“ Sono convinta tuttavia, che la signora abbia sempre ignorato la storia delle lettere che certamente saranno state nascoste a sua insaputa, dopo che i quadri erano già stati collocati nel ripostiglio. Molte persone avrebbero potuto collocare l’involucro tra il telaio e la tela, senza alcuna difficoltà, in quei giorni”.

Con rammarico, posso solo constatare che le conclusioni di Gisela sono le stesse che ho tratto io. Mi viene in mente che non si arriverà a nulla e che oltre a perdere il mio tempo, costringo anche lei a fare altrettanto. Ma che importanza può avere questa storia alla fine?

“Ho portato con me le lettere naturalmente, così potrai darmi una tua opinione più approfondita” – Dopo la lettura di alcuni brani, Gisela mi confessa che di Teufel non ha mai sentito parlare, ma che si potrebbe provare a consultare un suo conoscente, un famoso studioso della pittura tedesca del Novecento, in particolare del periodo espressionista e di quella tra le due guerre.

Berlino, 23 ottobre 1917

Gentile Signorina,

Concordo su quanto lei mi scrive, è assolutamente vero che nelle grandi creazioni scientifiche deve essere inclusa alche l’arte (e viceversa), e così è anche mia convinzione che la prosa di Kant rappresenta un limes dell’alta prosa artistica. Lavoro confusamente su testi filosofici per rendere chiaro a me stesso l’essenza della pittura. Conosco i successi della scuola di danza della sua assistita, dei principi di Laban, che finalmente vanno affermandosi. Sono orgoglioso di aver potuto vedere di persona prender viva essenza alcune idee nel clima di Ascona di qualche anno fa, quando la distruzione ancora non si era abbattuta su di noi come su ogni altra cosa.

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Se, quando comincio a credere fermamente dovesse coincidere con la verità, essa non può che definirsi spaventosa.

Ma non voglio affrettarmi a trarre conclusioni inappropriate. Quello che conta è un nuovo modo di sentire il corpo e soprattutto lo spirito. Questo principio nella danza ora si va affermando ma occorrerà liberare totalmente lo spirito per permettere alla coscienza di toccare l’inconoscibile, assorbire le forze sparse nell’aria, nella terra, nel fuoco, i demoni che una volta si temevano, avranno la loro benefica rivincita.

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L’arte comincia ad apparirmi come il fulcro del mistero, la chiave di volta del reale, in particolare la pittura a cui mi sono affidato incoscientemente, in maniera totale.

Ora se è vero ciò che temo, non posso che temerla. Stanno accadendo fenomeni che non saprei come definire. E’ come se la realtà mutasse segno e fortuna a seconda di quanto dipingo.

La terrò al corrente delle mie vicissitudini, come spero anche lei farà riguardo le sue ulteriori conquiste artistiche.

Suo Ehrlich

Sintomi di una mutazione in atto…come dire, planetaria, si susseguono, certo non alludo alle insignificanti mutazioni derivanti dalle trovate scientifiche che danno illusioni a quanti sono disposti a credere di volta in volta, a nuove glaciazioni e subito dopo al riscaldamento climatico, e poi ancora all’assottigliamento della calotta artica, per poi assentire di seguito alla minaccia di una estensione dei ghiacci fino alle Alpi… No, mi riferisco all’impossibilità di domare gli elementi, ai fenomeni incontrollabili che devastano senza sosta, alludo alle vibrazioni ancora oscure e indecifrabili del sisma che coinvolge le coscienze, ciò che ancora qualche tempo fa definivamo razionalità, che era anche motivo di orgoglio e vanto di una umanità appena affiorata alla luce della ragione, senza più pregiudizi e falsi dei, affiorata dall’apnea densa di secoli di cui non abbiamo che qualche ipotesi fantasiosa a ricostruirne gli aspetti. Ogni giorno fenomeni a volte eclatanti, a volte appena percettibili, stranezze insignificanti, si ripetono sempre più frequentemente. Abbiamo modo di sentire lo scricchiolio della carta di un disegno che appare sinistro, di una mappa diabolica, indubitabilmente nefasta, che viene aperta sotto i nostri occhi ostinatamente ciechi, per eccesso di troppa finta luce.

In compagnia di questi pensieri, passeggio in strade perfettamente curate dall’efficienza tedesca, ammirando l’ottimo stato di manutenzione degli edifici, delle tinte, la conservazione di decorazioni ad ornamento di terrazze, ammiro l’ostinatezza luterana di chi continua a trovare, nell’ordine esteriore, ma non a Berlino ormai, un segno costante dell’armonia cosmica, contrariamente a chi come noi, malati di una malattia incurabile tipica del mediterraneo, ci crogioliamo nell’abbandono totale del senso della bellezza che, stupidamente, pensiamo essere una semplice attrattiva turistica, un’occasione per far soldi.

L’idea stessa della perfezione armonica, da tempo ci ha abbandonato, ci vantiamo dello sporco, del degrado, attiriamo zingari perché viviamo come loro, nelle menti corrotte da una morale da schiavi, una morale inaccettabile ed inumana, che ha creato solo gaglioffi e truffatori, oltre che un numero imprecisato di poveri nell’anima e nel corpo, una morale che tutto redime, e permette ai diavoli di dilagare ovunque, perché ovunque non c’è più certezza alcuna, né santità né peccato.

Una finta religione, vuote formule ed esteriorità teatrale, che ricorda la credenza negli dei dell’antica Roma, quando era ormai solo una pratica di convenienza, ha finito per infrollire nel marcio dell’ipocrisia senza ritegno, popolazioni dedite in realtà solo al famigerato “particulare”.

L’armonia per noi non è più che un antico sogno rinascimentale a beneficio pensiamo, di quei coglioni che ancora osano mettere piede in questo inferno, per ricercarla, per ammirarla. La putredine di molta gentaglia che cresce rapidamente di numero, ha corrotto persino, per volere diabolico, l’olfatto, così che non avvertiamo più neppure il tanfo di tanta scemenza spacciata per principi irrinunciabili.

(continua)

30/04/2018, Antimo Mascaretti

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