Senza titolo (Ovvero: Volo aereo notturno) (VI) Romanzo
di Antimo Mascaretti
Altri diavoli atei sono nati da madri non diverse, ammantati dalla cappa di un egualitarismo opprimente, altrettanto innaturale, che ha finito per corrodere il legno di una impalcatura già ampiamente compromessa dalle infiltrazioni profonde dell’ossessione papista del peccato a cui in apparenza, tutti soggiacciono ancora, non ritenendolo però un freno sufficiente alle loro azioni delinquenziali. Tanto alla fine c’è la confessione…basta pentirsi e chiedere perdono e tutto può ricominciare da capo!
I segni del divino sono lontani da questi luoghi da molto tempo, ciò che trama il male ci attanaglia e ci condiziona fino ad ammaliarci nei suoi aspetti grifagni di ferocia. Lo scontro tra bene e male sembra non avere più partita, per una superiorità manifesta del male che si afferma incontrastato.
Rimane il labirinto di Satana da decifrare e che indubitabilmente è destinato a noi.
Sintomi e premonizioni, affondano in quel vuoto malvagio dove tutto il male è possibile e null’altro.
Arno Hauser è un uomo che può dirsi vecchio, con in volto i segni di anni duri. Un uomo che è stato preda di grandi passioni, quasi tutte ormai trascorse. Gisela ha combinato un incontro, mentre io ho girovagato per la città per tentare di ritrovare il mio vecchio spirito. Ci incontriamo in un ristorante vicino, un posto molto discreto, dove appena si bisbiglia per ordinare il cibo. Dopo le presentazioni formali e i soliti convenevoli, scambiamo qualche parola sulla pittura che in fondo, ci accomuna in qualche modo, collezionando egli molte opere, anche di artisti contemporanei; Gisela è la nostra attenta e premurosa traduttrice. Inaspettatamente e con grande meraviglia, Arno Hauser mi dice di avere qualche notizia su Teufel, anche se non è possibile verificarla su alcun testo, poco più di una diceria quindi. Vagamente accenna alla sua attività di pittore –
“Un pittore che pochi possono dire di aver conosciuto, nelle opere si intende…”
“Io anni fa, ho avuto in mano un piccolo dipinto che alcuni miei amici dicevano fosse di Teufel, un pittore scomparso nel nulla, così ricordo si erano espressi, senza poter aggiungere altro a questa affermazione”.
“L’opera non era però firmata col suo nome, e forse per questo si era salvata dalla distruzione o dall’occultamento che ha invece coinvolto tutti gli altri lavori, a quanto sembra, almeno da ciò che mi ha raccontato Gisela”.
“Qualcuno dice che è probabile che abbia cambiato molti pseudonimi nel tempo, fino a decidere di non firmare più i suoi quadri, questa ultima decisione è stata fatale alle opere, inoltre le vicissitudini belliche hanno aiutato a modo loro, l’autore nel suo intento”.
“Probabile vi siano ancora dipinti, ma senza dubbio in raccolte private, di cui non è possibile conoscere particolari”.
Arno ricorda inoltre, di aver visto un dipinto dal titolo “La guerra”, ma in anni lontani, agli albori della prima guerra mondiale e afferma: “Mi dissero che fosse del nostro pittore, in seguito anche quel quadro è sparito, e non saprei dire che destino abbia avuto”.
“Sembra che il pittore, proprio in quegli stessi anni che precedettero la prima guerra mondiale, abbia iniziato a dare segni di squilibrio, fino a far perdere le sue tracce, ma credo sia stato in guerra, per una testimonianza scritta di un commilitone che parla di un pittore taciturno che nascondeva le sue opere”.
Arno non ha altri elementi utili per la mia ricerca, qualcosa spingeva Teufel ad occultare tutto ciò che aveva dipinto, questo è certo. Una malattia? Forse un male incurabile? Non c’è risposta a questi interrogativi.
Arno è però convinto di conoscere la destinataria delle sue lettere, e questo è davvero rilevante. A suo dire, si tratterebbe di Maria Wirth, naturalista e ballerina, assistente per anni di Mary Wigman, fin dal periodo della residenza della Wigman ad Ascona, il periodo della “Heilanstalt”, anni prima del conflitto che tutto fece precipitare.
Osservo che solo una lettera risale al 1913, le altre sono di anni successivi, Arno Hauser è fermamente convinto che la destinataria sia sempre la stessa persona, una donna rimasta in contatto con Teufel addirittura fino a dopo la conclusione della seconda guerra mondiale. Non c’è nulla che possa darci questa certezza, mi viene di pensare, mentre Arno sorseggia lentamente un cappuccino a fine pasto.
Ci lasciamo appena varcata la soglia del ristorante, io con le idee se possibile, ancora più confuse, Gisela con in volto i segni di una delusione che cerca di nascondere alla meglio.
Meglio è a questo punto, rientrare al più presto in Italia, qui a Monaco non ho altro da fare.
Nascondere ciò che si è dipinto…una stramba mania, nasconde forse il timore di un giudizio troppo severo? Può darsi, in arte è necessario essere rigorosi.
Nell’aprire la porta dello studio mi appare davanti “volo notturno”, come se non fosse una mia opera. La osservo con attenzione, scopro particolari inediti, avevo pensato fino a ieri che occorressero altre modifiche ma ora, mi accorgo che il quadro può considerarsi concluso: il dramma è già in atto.
Le indagini su Teufel mi distraggono. Lavoro sempre meno ai miei quadri, lento come la rotazione dei pianeti più estremi, sul fulcro della luce. Ho allontanato l’impeto di un tempo, non sono più uno schiaccianuvole, indubbiamente.
“Volo notturno” ha bisogno ormai, solo delle procedure finali di routine, alcune velature, l’applicazione di vernici…Quale lavoro si renderà ora necessario? Mi chiedo, mentre inizio a preparare un’altra tela, di grande formato stavolta, il mio animo è immerso in una sorta di caligine che non permette di vedere chiaro. Di nuovo il timore, una luce nera che si spande per le stanze dello studio, di nuovo il senso di impotenza…figure dipinte, di oggi, di ieri, figure in silenzio, appaiono risposte al dominio del male, le mie risposte, ma saranno sufficienti a salvarmi? A giustificare tanta dedizione, tanto tempo dissipato? In alternativa, se così non fosse, che fare?
Berlino 13 maggio 1921
Gentile signorina,
Ho ormai preso la decisione di cui le ho parlato da tempo. E’ necessario agire al più presto, una volta che si è preso coscienza di un destino, non si può che trarne le dovute conclusioni anche se il fenomeno di cui lei sa, rimane senza plausibile spiegazione. In verità, ho già cominciato a recuperare dove era possibile, i miei lavori, per l’operazione che si è resa necessaria e che intendo condurre a buon fine al più presto.
Ho avuto visite inquietanti in queste ultime albe e le trascrivo brani si un dialogo molto illuminante. Tutto si svolge alle prime luci, come d’abitudine per me, l’alba è il momento più significativo del giorno.
(spazio bianco)
Non capisco come tutto questo possa accadere e mi chiedo perché accada a me.
(spazio bianco)
Negli anni di guerra tutto è stato più facile, le distruzioni mi hanno, per così dire, agevolato nell’impresa.
La guerra ha portato via ogni progetto a breve scadenza ma nel mio caso rappresenta un colpo di fortuna, naturalmente solo sotto questo aspetto.
Le racconterò tutto con più calma, ora devo uscire in fretta per un recupero che, altrimenti diverrà impossibile, con tutto quello che poi, ne può derivare.
Un caro saluto,
Ehrlich
Poco fa Gisela mi ha telefonato. Ero immerso nella brezza dell’aurora, il mare si avvertiva come un’immensa estensione di blu inchiostro e odore di salsedine. Arno, mi ha detto, ha trovato una nuova traccia, molto promettente. Pare che gli artisti che si riunivano al Monte Verità avessero un modo segreto di comunicare ciò che ritenevano fosse più prudente non rivelare al resto della comunità del circondario. Ciò rendeva necessario occultare parte degli scritti o di lettere con l’uso di un inchiostro simpatico di loro invenzione. Questo spiega perché nelle lettere ci sono spazi bianchi quasi ovunque e il senso dello scritto rimane oscuro.
L’inchiostro usato ha la caratteristica di rivelare le lettere solo se bagnato da un liquido che, agendo per qualche tempo, produce una sorta di reazione chimica temporanea. Dopo qualche ora, la scrittura scompare di nuovo. Il fenomeno è sempre ripetibile e questo è inconsueto per un inchiostro di questo tipo, ma rende quella maniera di scrivere sicura e al riparo da occhi indiscreti.
Mentre Gisela parla, io, come fossero lame di tarocchi, metto in colonna le lettere di Teufel e noto gli spazi bianchi in molte lettere, noto anche che la scrittura, a volte, riprende senza un apparente collegamento con quanto scritto più sopra.
Ho chiuso la telefonata in fretta, adducendo impegni improrogabili che mi costringono ad uscire di casa, in realtà, ho pensato che qualcosa stava per riprendere vita davanti ai miei occhi e volevo essere solo per quel momento, volevo essere pronto.
Ho promesso di richiamare Gisela dopo un esame accurato delle lettere se avessi avuto nuove idee, perché di colpo, mi si para davanti la difficoltà di sconfiggere l’azione oscurante dell’inchiostro. Non sono pause quindi, quegli spazi bianchi, pause come nelle partiture musicali, per una scrittura aforistica, come in un primo tempo avevo creduto. Io pensavo ad uno stile eccentrico, una maniera studiata di scrivere ed invece…qui si nasconde una scrittura adatta a tempi non certo sicuri, una scrittura nella quale spiriti liberi si sono rifugiati, particolarmente quelli più fragili e vulnerabili. Per nascondere quali segreti?
Crolli, grandiosi fuochi abbacinanti illuminavano un profondo buio che manifestandosi come un’eclisse di sole, per un incantesimo malevolo, faceva definitivo ed irreversibile l’allineamento dei pianeti.
Dall’omicidio di Sarajevo. Solo notti si avvicendavano ad altre notti, si viveva nelle tenebre dell’inquietudine e della sopraffazione violenta.
Berlino 1928
Carissima Signorina,
Peccato che lei non sia qui: perché le scrivo queste righe la sera di un giorno in cui ho potuto nuovamente guardare nelle fauci di Berlino capitale dell’impero. E’ accaduto così: ieri sera Kraus ha tenuto la quarta ed ultima delle sue letture di Offenbach e ha letto la Vita parigina( Pariser leben).
E’ stata la prima lettura di un’operetta che abbia udito da lui, e qui intendo tanto meno scriverle dell’impressione che essa ha fatto su di me, in quanto proprio ora ho messo in moto tutta una massa di idee – sa di quale provenienza – in modo che faccio fatica a dominare tutti i miei pensieri. Tra le strofe da lui aggiunte c’era un couplet che si concludeva con il verso “Di ogni città io tiro fuori il furfante”. Era chiaro che si trattava di Kerr.
Come ho detto questa lettura mi ha fatto venire alcune idee, e vorrei assolutamente scriverne, naturalmente senza passare sotto silenzio questo “incidente” ma piuttosto presentandolo come il centro dinamico della serata. Risultato di una mattinata è stata l’esperienza che una relazione di questa conferenza non poteva essere collocata da nessuna parte. Non per questo non scriverò il mio appunto, ma ho poche speranze di vederlo pubblicato.
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Suo affezionatissimo
Ehrlich
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(continua)
30/04/2018, Antimo Mascaretti
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