Senza titolo (Ovvero: Volo aereo notturno) (VIII) Romanzo
di Antimo Mascaretti
Berlino 1936
Gentile signorina,
Distruggo quanto più mi è possibile e là dove non è possibile tento di nascondere con molta accuratezza. Ho, grazie ad un amico che è anche un grande pittore, potuto occultare nel sotterraneo del suo studio un gran numero di miei vecchi lavori che ho intanto recuperato rendendoli per così dire, innocui.
Dopo una lunga ed accurata operazione di imballaggio, con il suo prezioso aiuto dato il peso dei quadri, ho seppellito il tutto ad un metro di profondità. Sinceramente dubito che quelle opere potranno vedere ancora la luce. Mi chiedo spesso se non sarebbe migliore soluzione distruggere senza esitazione, bruciare magari, i quadri, per essere sicuri che non possono più nuocere, ma come lei sa, non mi è possibile senza perdere il mio ormai ridotto, equilibrio mentale. La mia speranza è che l’incantamento di cui sono vittima possa un giorno terminare improvvisamente così come improvvisamente è iniziato.
Mi accorgo che avrei fatto meglio a servirmi del nostro segreto accorgimento nello scrivere queste ultime righe ma sono molto scosso e ho deciso di correre il rischio per questa volta.
La viltà è sempre all’opera, e non passa giorno che non mi capiti di constatarne gli effetti. Amici partono oggi per la Palestina non saranno temo che i primi, anzi c’è da temere, dato l’alto numero dei visti richiesti per quella terra, che gli inglesi rendano più difficile la concessione dei visti di ingresso. Speriamo che ciò non accada, perché alcuni stanno vendendo tutto, potrei dire meglio svendendo, e a prezzi ridicoli, così che terreni e case, gioielli e quadri, mutano rapidamente di proprietario. C’è chi si presta a queste transazioni per fornire aiuto concreto ma i più lo fanno invece, per speculare ed arricchirsi sulle disgrazie altrui, con facilità. Scrivere certe cose sono cosciente, potrebbe costarmi molto caro. Speriamo che la fortuna mi protegga, almeno per questa lettera.
Un caro saluto ed un abbraccio
Suo Erhlich
Sul bordo del cratere, che mostra ormai il nero senza più fiamme, l’artista dimora abitualmente o almeno così dovrebbe essere. Qui nel profondo del cratere, riconducono antiche credenze, enigmi mai risolti, misteri che ci sono familiari. Purtroppo, nel regredire della coscienza nella stupidità belluina che domina, facoltà che un tempo erano vive, si perdono inesorabilmente, si perde anche il buon gusto, la capacità di distinguere tra ciò che è e ciò che altro non è che parodia ridicola. Siamo ormai soldatini di piombo di un campo di battaglia di cui non si conoscono i confini, ci sfugge lo stesso senso che ci ha regalato tante macerie. L’artista tuttavia, trova il suo luogo proprio tra quelle macerie, l’artista deve testimoniare, non essere più l’utile idiota della finanza ed il buffone di corte di potenze occulte che muovono ingenti capitali sul mercato. Esiste ancora chi intende in questo modo il suo compito? Esistono ancora artisti che sopportano di sentirsi chiamare “superati” da cretinetti dotati di diploma di scuola pubblica? Ho forti dubbi in proposito.
Ho sognato nel dormiveglia, una voce lontana e roca che mi sussurrava all’orecchio le stesse considerazioni che ho appena riportato. Senza motivo, rammentare quel sogno mi ha reso ancor più di pessimo umore di quanto non mi succeda abitualmente, al momento del risveglio. Quando la chimica, l’alchimia, la lettura delle antiche lame, la lettura degli astri nel loro movimento sincronico, fallisce o nulla può, non rimane che affidarsi all’occulto, con tutti i rischi che questo atto sconsiderato comporta. Certo, i beoti che stanno trascinandoci verso il cataclisma finale su queste cose ironizzano… Campo minato, ne sono cosciente, quello delle scienze occulte, dove la cialtroneria e la paccottiglia sono spesso il mantello dorato e ricco di gemme di poveri diavoli (è proprio il caso di dire…) ma c’è anche chi studia queste oscure materie senza confini, con umiltà e dignità doverosa.
E’ probabile che non si abbia da parte dei più, i profani del circo variegato del mondo dell’arte, quelli che conducono una vita di lavoro sistematico ed abitudinario, neppure l’idea della vastità del mare che può lambire la barca dell’artista d’oggi, nel suo percorso turbolento. L’artista, spesso un nullafacente che si attribuisce questo titolo quale appellativo minaccioso, naviga nelle correnti della comunicazione globale come tutti sappiamo… tra le tante conoscenze che mi guardo bene dal frequentare abitualmente, a me è capitato di conoscere Gildo Tomasi Martinengo, occultista, esorcista (forse maestro di cialtroneria q.b.), capace di impreziosire ogni occasione mondana di una provincia certo avara su questo fronte.
La cialtroneria, se non arricchisce rende senz’altro benestanti. Questo è quel che ho sempre pensato di Gildo Tomasi, il cui nome stesso suona come il bronzo intaccato di una campana.
Tuttavia il Gildo, con filtri e pozioni, rituali individuali et collettivi, liturgie blasfeme, santini rovesciati, fatture fasulle, (e vere mai dichiarate), esercitando il suo ministero anche con l’aiuto potente di televisione ed internet, strumenti appropriati e quanto mai privilegiati sembra dal Maligno, è certamente arrivato a mio parere, a quel tanto di benessere discreto, quello per intenderci, che pone la dichiarazione dei redditi dell’oggetto di indagine almeno sull’ultimo gradino della “congruità”, agli occhi severi e grifagni dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate.
Al riparo di quella non disprezzabile discrezione, Gildo Tomasi Martinengo vive appartato, in una villetta da medio borghese, nascosto da grandi querce agli occhi del mondo, e potremmo anche definirlo “piccolo imprenditore”. La sua abitazione è a pochi chilometri dal mio studio e quindi troppo vicino per non avere la tentazione di fargli visita.
“ Vieni domani pomeriggio” – mi dice al telefono –
“Non prima delle 16 però, perché prima ho un esorcismo difficile che prevedo vada per le lunghe, non vorrei farti attendere inutilmente”.
“D’accordo, ci vediamo domani”.
Percorrere pochi chilometri in collina di questa stagione, non è certo un fardello insopportabile, neanche per chi, come me, è sempre più riluttante a lasciare, sia pure per poche ore, casa e studio.
Una signorina che mi appare molto attempata, mi introduce in una saletta sobria, una sala d’aspetto come quella di un dentista o di un avvocato, dove però il rosso del broccato pesante delle tende domina su tutto.
Per lasciar trascorrere il tempo dell’attesa in questi casi non c’è che l’immaginazione che occorre però, portarsi da casa.
Nell’aprire, dopo circa un’ora, la porta del suo ufficio, Gildo Tomasi Martinengo si mostra cordiale come può esserlo un reduce da “un difficile esorcismo”, e colgo sul viso, impercettibile, un’espressione che sembra voler dire: “Finalmente anche tu!, Di solito così ironico e distaccato nelle conversazioni occasionali di un tempo, finalmente anche tu sembri aver bisogno di me!”
Fingo di non vedere quell’espressione e mi accingo con pazienza, all’esposizione dei fatti.
“Se ho ben compreso, ti occorrerebbe un aiutino per, diciamo così, far rivivere la scrittura occultata”.
“Esattamente”
“Bene, lasciami riflettere qualche giorno, consultare dei testi, azione in questo caso indispensabile, poi, appena avrò qualcosa per te, ti avvertirò al telefono”.
Mi congeda in fretta senza convenevoli, ed io mi porto via pesantemente la mia delusione, chissà perché pensavo potesse avere una soluzione più a portata di mano.
Viviamo in tempi oscuri, non c’è che dire.
Il mio ultimo ciclo di pitture mi conduce molto lontano, verso un non so dove che però, mi inquieta. Prima di mettere mano a questo ciclo tuttavia, nei lavori degli ultimi tre anni, la mia insoddisfazione aveva già raggiunto livelli altissimi.
Come ormai da settanta anni almeno in politica, anche nel circo dell’arte, un ambito che solo erroneamente può apparire marginale, bivaccano ed ingrassano opportunisti e truffatori. Il segno di un rottura però, appare sempre più marcato.
Non c’è più necessità di dire nulla, di narrare nulla, di dipingere nulla, però non c’è ancora nessuno a prendere partito, a dichiarare, a proprio rischio, l’impossibilità che tutto questo mondo di cartone possa ancora sopravvivere a lungo.
Si vive come in una trincea che si sa di dover abbandonare da qui a poco, perché i segni che la guerra è perduta si fanno sempre più manifesti. Mutamenti biblici pare travolgano gli ultimi avamposti di un’epoca dei “lumi” che ha fatto luce solo su cimiteri.
Per chi sa leggere aruspici, disporre i tarocchi o semplicemente interpretare l’apparire e i movimenti delle nuvole quotidianamente, tutto comincia a schiarirsi, i frutti velenosi sono ormai maturi e chi ne mangia finirà per soccombere presto.
Davanti ad un notiziario si può percepire la fine imminente, mentre ci si ostina ad ostentare, da parte di chi governa, un presunto ordine granitico, non esistono più sicurezze per nessuno, eppure caparbiamente si formulano ipotesi sul futuro molto ottimistiche, proprio ora che tutto è quasi irrimediabile.
Insane violenze immotivate, pazzie conclamate, si muovono incarnate in lemuri sempre più numerosi ed universalmente diffusi. I topi, innumerevoli, acquistano coraggio, osano persino girare per le strade affollate in pieno giorno, senza alcun timore. Altro segnale inequivocabile.
Stamattina una lettera da Monaco. Arno mi invia un originale di un’altra lettera di Teufel, senza parti occultate, che ha potuto rintracciare presso gli eredi di Maria Wirth, l’assistente della portentosa ballerina Mary Wigman, fin dai tempi del Monte Verità.
Arno è sempre più convinto che anche le lettere in mio possesso abbiano avuto come destinatario Maria Wirth. Questa novità, l’unica negli ultimi giorni, apre la via ad una ipotesi certamente interessante. Se ciò che Arno si ostina a credere, pur senza prove, è vero, abbiamo finalmente una traccia concreta.
Chi era Maria Wirth? Che sappiamo della sua vita? Un’artista è indubbio, ma devo conoscere altri elementi, è assolutamente indispensabile.
L’istinto e la curiosità mi spingerebbero a telefonare immediatamente ad Arno. Ma Arno non parla italiano e il mio scarso tedesco mi consiglia saggiamente di ricorrere al tramite consueto: Gisela.
“ Ascolta Gisela, non so se Arno ha avuto l’accortezza di metterti al corrente della lettera di Teufel che mi ha inviato per raccomandata internazionale, purtroppo però, altro non dice su Maria Wirth…mi racconta (in un inglese che capisco ancor meno che il tedesco), di eredi, o meglio un’erede… non saprei, puoi interessartene tu?”
“Posso farlo senz’altro, ma devi aver pazienza alcuni giorni, ho degli impegni di famiglia improrogabili che mi portano già domani a Riga”.
“Ok, aspetterò tue notizie”
(naturalmente anche della lettera che segue la traduzione è di Gisela).
Arenzano 1946
Gentilissima Signorina,
Sono ancora ospite della gentile signora L.R. che ho avuto modo di conoscere durante l’insediamento della guarnigione militare tedesca proprio qui ad Arenzano. Nella follia della guerra, ho apprezzato fin dal primo contatto la grande umanità di questa vera signora, colta raffinatissima, un’artista che vive nell’ombra pur potendo brillare di luce sfavillante.
Nel corso della tragedia del conflitto non le sono stati risparmiati dolori, ha subito l’arresto, ed un suo nipote è stato fucilato dalle S.S. Nonostante tutto questo, mi ha sempre dimostrato autentica amicizia, deve aver compreso che anche io non sono stato che una vittima di passaggio di quella feroce tormenta.
Oggi come oggi, mi avvilisce e mi addolora il poco interesse che ho per il mio lavoro, adesso quasi nullo, malgrado le molte reiterazioni di attività. Cioè molto travaglio cerebrale molta elaborazione di pensieri e di idee, però nulla di concreto.
Opere che potrebbero esser già definite da un anno sono dimenticate, le poesie lasciare a mezzo e progetti e progetti.
Si meraviglia a proposito di F. che ci si possa essere svagati in questi tempi; mi stupivo anch’io un tempo che sotto il terrore la gente si amasse e divertisse. Si è amata e divertita, a modo suo, anche nei rifugi; negli orrendi luoghi di affollamento, si è dipinta, permanentata, forse non lavata, ma profumata ovunque. C’è gente che ha giocato a bridge o pinnacolo dal primo all’ultimo giorno della guerra e che seguita a giocare ora magari in prigione, o con i beni bloccati e così via. Del resto tutti quelli che han decentemente o meno potuto cambiare casacca l’han fatto con la massima fretta e a molti l’occupazione tedesca ha dato almeno la parvenza della buona fede.
Vede tutto questo: balli, fame, gozzoviglie, genti fuori casa su uno sfondo di disordine effettivo: muri crollati, finestre borgnes, mancanza di vetri, “vallo atlantico”, sbrecciato, giardini pubblici devastati dalla coltivazione diabolica delle patate e del grano delle “battaglie”, mucchi di macerie, strade e buche, alberi abbattuti per far “la sale” o per scaldarsi, bottiglie di ripiego, molte jeep e moltissime macchine d’uso uscite dai nascondigli, e camions di ogni genere di gente, vegliardi compresi, che viaggian con mezzi di fortuna: ecco la vecchia e cara Italia. Per me questa è una sofferenza quasi fisica; si è acuito morbosamente in me il bisogno che spero sempre, senza esserne certo, che sia anche un bisogno morale un bisogno che esorbiti dalla materia, ripeto che ogni cosa mortale non è che simbolo, ma è proprio per questo che essere ospite in questa casa devastata, tra cose rovinate è il castigo che mi occorreva e che aspettavo da anni, di cui ora forse non so servirmi.
Un carissimo abbraccio
Erhlich Teufel
(continua)
28/05/2018, Antimo Mascaretti
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