TECNICHE DI RISVEGLIO PER ATHENA (IV)

di Antimo Mascaretti

( continua…)

Qual è lo stato d’animo del pittore dopo quindici anni ormai trascorsi del nuovo secolo?

Posso naturalmente rispondere per la mia esperienza. Lo stato d’animo è di profondo disagio.

Viviamo tutti una realtà estremamente complessa, intorno una situazione di indubbia decadenza che nelle manifestazioni dello spirito, nella musica, nelle arti visive, nella pittura in particolare, si manifesta con una confusione totale. Non è certo la nostra un’epoca dove canoni immutabili indirizzano l’attività artistica. Al contrario, uno scetticismo diffuso ha investito l’arte circa le possibilità di incidere sul reale, proprio mentre si tentava in ogni modo di annullare la distanza tra arte e realtà. Molte espressioni artistiche sono di puro divertimento, altre perseguono finalità confuse, altre ancora sono metafora di qualche cosa di altro, di non bene definito. Non c’è chiarezza d’intenti e nello stesso lavoro si nasconde l’impoverimento oggettivo della mancanza di precise poetiche nelle espressioni di decine di migliaia di artisti o sedicenti tali.

Qualcuno tenta un’arte che possa spendersi utilmente nell’impegno sociale, equivocandone però i principi, e finisce per essere il creatore di simboli facili di un impegno stereotipato: la pace, la giustizia sociale, la libertà, la difesa dell’ambiente e così via. Non sono convinto che tutto ciò sia compito dell’artista, ma so con certezza, che qualunque opera non può essere realizzata attraverso trovatine tra il patetico e l’opportunistico, che spesso hanno il solo scopo di coprire il vuoto che si nasconde sotto quel genere di realizzazioni.

Ho visto di recente, in un programma televisivo, un’opera d’arte contemporanea che può servire da esempio. Si trattava di una bandiera europea con il solito fondo blu ma con le stelle, simboli degli stati, sistemate a forma di svastica. Qui non è importante il nome dell’artista, non ho assolutamente finalità polemiche e tra l’altro il nome dell’artista non lo ricordo neppure, ciò che mi interessa è mettere in evidenza l’estrema semplicità nella simbologia che la gallerista che proponeva l’opera, non ha neppure saputo motivare e illustrare. E’ evidente come in quell’opera si alludesse ad una pretesa mancanza di libertà nell’Europa federale al punto di richiamare per analogia il simbolo del potere nazista. Ora, l’Europa ha le sue numerose mancanze siamo d’accordo, ma tra queste certo non vi è la mancanza di libertà. Quel richiamo risultava essere perciò enfatico, falso nella sostanza, più che altro una sciocchezzuola, per richiamare l’attenzione e per di più, l’opera era offerta alla bella cifra di settemila euro!

Nella mia concezione di arte come forma di conoscenza, mi tengo alla larga dall’offrire soluzioni facili di quel tipo, esigo anzi, un rigore e un impegno intellettuale imprescindibile per un ritorno ad una pittura che non deve certo avere aspetti di una “sacralità” retorica ed improponibile, ma che si ponga scopertamente come un laboratorio concreto e alternativo, per una possibile vita di nuovo praticabile dopo anni di disorientamento infruttifero, disorientamento estetico e filosofico. Non è compito dell’arte suggerire soluzioni di tipo politico e sociale, mentre è compito precipuo dell’arte tentare di elevare lo spirito verso un sapere da troppo tempo abbandonato, assediato per decenni da filosofie neo-positiviste e scientiste, che al contrario, può essere certamente d’aiuto nella difesa intanto individuale al dilagare della nuova barbarie che purtroppo, non cesserà per virtù del nostro impegno nella ricerca.

Occorre tirarsi fuori dal bordello che ci circonda e dalla confusione spesso alimentata per facilitare il caos espressivo in favore di interessi concreti.

Sappiamo però, che non è quasi mai facile poterselo permettere e allora…

Si avverte nella sua analisi dell’arte contemporanea molta amarezza e delusione…Ha come riferimento la sua esperienza, non felice, con quel mondo?

Capisco che a volte la mia insofferenza, cresciuta molto negli anni, possa generare l’equivoco che il mio modo di giudicare la situazione dell’arte d’oggi derivi dal mio isolamento e da una buona dose di presumibile frustrazione accumulata nel tempo, ma non è così. Non ho mai fatto nulla per “ingraziarmi” mercanti ed operatori, la mia posizione filosofica è di netta opposizione all’esistente, forse negli anni e comprensibilmente, ho tentato a momenti di avere più spazio. Quando si è consapevoli di quello che si sta realizzando si è molto esigenti e se occorre, anche violentemente critici nel confronti dell’arte che per conformismo, domina ogni spazio a disposizione.

La mia analisi intransigente oggi si giustifica con una profonda insoddisfazione per ciò che di fatto l’arte rappresenta nel nostro tempo: poca cosa tra il ridicolo e il comico. Capisco benissimo che la mia è una battaglia di retroguardia, forse solo tempo sprecato, la perdita di importanza dell’arte fu diagnosticata già da Hegel con grande precisione, una profezia che si è avverata, ma il mio carattere non mi consente di fingere di non vedere, inoltre vorrei tentare di capire, comprendere a fondo quelle esperienze che non suscitano in me altro che noia ed insoddisfazione, ma che monopolizzano a torto o a ragione, il dibattito teorico.

Io resto fermo nell’analisi concreta delle cosiddette “opere” e alle poetiche degli artisti e tutto questo non mi soddisfa. Neppure le teorie filosofiche ed estetiche che tentano di giustificarle mi sembrano adeguate, eppure continuo ad approfondire quelle dottrine come se qualcosa, che per ora mi sfugge, debba per forza nascondersi in quei testi, ed è probabile invece che non siano altro che teorie molto poco rigorose…

Che importanza ha il destino nella vita di un artista?

Una grande importanza, ed in duplice modo. Ha importanza nella vita personale come per chiunque, ed in più ha importanza per la vita della sua arte. Come si sul dire la fortuna è cieca e a volte in arte potremmo dire è anche ingrata.

Può sembrare incredibile ma ad esempio, Lorenzo Lotto ha dovuto attendere secoli per vedere riconosciuta l’importanza artistica del suo lavoro. Un altro esempio è il caso di Gustav Klimt che fino agli anni settanta dello scorso secolo, in certi testi di storia dell’arte non era neppure menzionato! Oggi ammiriamo le sue opere e ci rammarichiamo che solo centoventi di esse siano arrivate fino a noi. Quelle che oggi tutto il mondo esalta è pur sempre stato sotto gli occhi di tutti…

C’è un destino o una fortuna per l’artista, c’è un destino o fortuna per le opere.

Uno dei più grandi scultori del ‘900, abilissimo nella tecnica, potremmo dire allo stesso modo di Dalì nella pittura, e molto stimato da importanti artisti del ‘900, Arno Breker, attende ancora una sia pur tardiva rivalutazione delle sue opere, molte delle quali di sicuro rilievo, solo perché Hitler lo scelse quale artista preferito, durante il terzo Reich. Di Arno Breker si è tentato un insano annientamento in tutti i modi, con la distruzione di molte sue opere alla fine della guerra, e con il silenzio totale e ciò che è peggio, con la denigrazione critica per motivi estranei all’arte, quindi una sottovalutazione ideologica che ancora perdura. Ho letto di recente, in un testo di Jean Clair di solito critico accorto e profondo, un richiamo a Breker, per una critica della dismisura delle sue sculture monumentali, ciò che però, più mi ha colpito è stata la notazione: “Arno Breker chi se ne ricorda più?…” e come potrebbero i più ricordare se si è fatta terra bruciata attorno a questo artista che pure continuò a lavorare fino agli anni ottanta del Novecento, con la realizzazione di busti memorabili! Che dire? Nessuno ha mai rimproverato pittori e scultori dell’antichità per aver lavorato sotto un regime di tiranni violenti e di principi assoluti, altrimenti la metà e oltre dei nostri capolavori del Rinascimento sarebbero da dimenticare o distruggere! Qualcuno a questo punto citerà l’osceno olocausto…certamente fu una vera enormità, un delitto senza alcuna scusante, ma che ha a che fare con l’arte? Se l’arte è solo espressione di un regime dovremmo forse criticare alla stessa maniera ideologica, quegli artisti appartenenti al Paese che ha lanciato, per prima e senza alcun pudore, la bomba atomica? Il valore dell’esistenza umana sembra avere nella storia pesi diversi.

Arno breker dopo il conflitto, ha dovuto sopportare la famosa “denazificazione” come milioni di altri tedeschi, dopo essere stato definito “seguace” (mitlaufer) senza colpe specifiche a carico di nessun genere tranne quella di aver realizzato al meglio il proprio lavoro, fu condannato ad una ammenda di cento marchi…e…alla morte artistica!

Nella statuaria, in molto lavori risente della monumentalità enfatica tipica dell’arte di qualunque regime, curiosamente affine ad esempio a quella dell’Unione Sovietica (Stalin alla fine del conflitto, non a caso, invitò Breker a lavorare in quel Paese, ma ottenne un rifiuto), nei busti però è di una qualità somma e inarrivabile per tecnica ed espressività, tra gli scultori nel Novecento, altro che ad esempio Igor Mitoraj! Basta guardare i busti di Ludwig Erhard, 1973, di Konrad Adenauer, 1979, di Salvator Dalì 1974/75.

Giacometti che della scultura conosceva la difficolta tecnica che è invece ignota a quasi tutti i “chiacchieroni” critici e filosofi, diceva di tentare continuamente di cogliere le caratteristiche di un volto nelle proprie sculture e invano, tanto da dover ogni volta, ricominciare a togliere la materia per un altro tentativo. Ecco, Arno Breker coglieva quelle caratteristiche con una precisione ed una incisività senza pari. Ebbe molte commesse, pur nel silenzio totale della critica conformista e del mercato ufficiale. Nemmeno un Paese che ha tanti meriti nell’arte come la Germania, pur avendo preservato attraverso il collezionismo privato di alcuni mecenati quanto resta oggi dell’arte di Breker, osa ancora riconoscere adeguatamente la grandezza artistica di questo scultore. Ma la Germania deve ancora regolare i conti anche con gli artisti della scomparsa Repubblica Popolare Tedesca e su questo tema dell’identità dell’arte tedesca Hans Belting ha scritto: “Dal secondo dopoguerra il concetto stesso di “arte nazionale” Ha perso significato. Ma anche l’arte europea è in discussione da quando è nello stesso mercato artistico con gli Stati uniti. Il conflitto tra arte europea ed americana –entrambe nello stesso mercato- è semmai un tema che ha ancora senso discutere. C’è ancora un’arte europea e se sì come si distingue da quella americana? In un’epoca in cui si parla di mercato mondiale e di arte mondiale, è fortunato chi ha un rapporto chiaro con la storia del proprio Paese (e non è certo il caso di noi italiani!) e ne amministra il patrimonio artistico come un possesso che nessuno mette in discussione. Tutto questo non vale per i tedeschi, il cui rapporto con la propria arte è non meno difficile del rapporto con il proprio passato storico…” Parole illuminanti in un saggio di qualche anno fa ed ancora attualissimo. Vede il destino gioca brutti scherzi!

(continua)

03/04/2017, Antimo Mascaretti

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