TECNICHE DI RISVEGLIO PER ATHENA (VII)

di Antimo Mascaretti

( continua…)

Con le avanguardie il rinnovamento formale si acuisce notevolmente e nei vari “ismi” si sperimenta in ogni direzione. L’importanza delle avanguardie è enorme nella storia dell’arte e delle idee estetiche anche se tutto o quasi naufragò con le cannonate del primo conflitto mondiale. La storia, l’idea di evoluzione costante e progressiva, aveva fatto però il suo ingresso nell’arte e la ricerca del nuovo come ulteriore evoluzione divenne da allora, negli “ismi” successivi, spasmodica.

Queste teorie ed interpretazioni si trovano su qualsiasi manuale o testo scolastico ma non sono che “schematizzazioni” necessarie per lo studioso e spesso assunte come “verità” assodate.

Non è questa la sede appropriata per un approfondimento che sarebbe molto utile, dei termini “modernismo”, “tradizione”, “avanguardia”, “ postmoderno” etc. Ciò che in questo contesto invece ci interessa sono quelle considerazioni necessarie che permettano di capire meglio la situazione attuale degli artisti e naturalmente della pittura, che come è ovvio riflette la crisi generale del nihilismo occidentale mai superato dal pensiero filosofico del secolo scorso e che oggi si ripresenta in qualche modo mimetizzato ed asservito alla logica conservatrice e al desiderio di “immutabilità” utilitaristica in cui si manifesta l’ultima evoluzione del capitalismo finanziario e tecnologico. Riflette bene inoltre, la crisi in cui si dibatte la sterilità del pensiero occidentale, che di fatto si traduce in una totale mancanza di capacità persino di ipotizzare una visione del futuro, il concetto di “postmoderno” va dunque qui analizzato sia pure per sommi capi.

Questa definizione culturale che investe buona parte degli aspetti della cultura da alcuni decenni, è nata propriamente in ambito architettonico. Molto rapidamente, è stata estesa ad ogni aspetto della cultura: letteratura, arte, spettacolo etc. Si può definire il concetto di postmoderno come “il sacchetto nero dei rifiuti indifferenziati”. Ci puoi mettere tutto ciò che vuoi e altri potranno aggiungere altre ipotesi e inglobare altrettanti nomi e teorie. “Il post di postmoderno indica infatti una presa di congedo dalla modernità che, in quanto vuole sottrarsi alle sue logiche di sviluppo, e cioè anzitutto all’idea del “superamento” critico nella direzione di una nuova fondazione, ricerca appunto ciò che Nietzsche e Heidegger hanno cercato nel loro peculiare rapporto “critico” verso il pensiero occidentale.”( Vattimo).

Salta subito all’occhio che un concetto così ampio ed inglobante è necessariamente poco chiaro, ed infatti, nella definizione del postmoderno si sono esercitati in tanti, di qua e di là dell’oceano. Per tutti citerò una definizione di Lyotard: “L’eclettismo (del postmoderno) è il grado zero della cultura generale contemporanea….E’ facile trovare un pubblico per le opere eclettiche. Facendosi kitsch, l’arte alimenta il disordine che regna nel “gusto” dell’amatore. L’artista, il gallerista, il critico ed il pubblico si compiacciono insieme nel bla bla bla ed è l’ora del rilassamento”.

Non mette conto di perdere tempo per sciocchezze di questo tenore che sono interessanti soltanto per la crisi che lasciano intravedere. Se dovessi definire il posmoderno con un’immagine, lo farei illustrando una gabbia enorme che lentamente affonda nell’acqua dove centinaia di topi, correndo all’impazzata da un punto morto ad un altro, squittiscono senza posa.

Ciò per rendere l’idea di un pensiero filosofico ormai senza alcun fondamento teorico, che riesce solo a teorizzare “la fine della storia” con una forzatura, inglobando ogni idea di cultura ed ogni manifestazione di ciò che resta dello spirito nel “tutto va bene”, tutto si può accettare come valore senza alcun valore.

Di fatto, anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un patetico conservatorismo che vorrebbe la fine di ogni possibile evoluzione, così che tutto si debba fermare allo stato attuale di una economia capitalistica senile e decrepita, di un mercato dallo strapotere dannosissimo e del dominio di un impero che perdura dalla fine del secondo conflitto mondiale e che appare in via di decadimento irreversibile, nella sua concezione dell’esistenza, nella sua capacità supertecnologica senza finalità, nella sua cultura che avrebbe ancora pretese di egemonia e che esprime bene solo il ridicolo.

L’ostinarsi a non voler vedere la propria impotenza è ciò che ha sempre caratterizzato la fine di ogni dominio. Penosissimi sono però ancora di più coloro che dalle “colonie” continuano a prendere sul serio ciò che serio non è più da diversi anni.

L’artista ha il dovere di opporsi a tutto questo con la sua opera rigorosa per quella “immaginazione al potere” che da stupido slogan sessantottino può significare una nuova occasione di trasformare la vita, oggi che il baratro è sempre più vicino davanti a noi.

Un esempio in fatto di pittura, dell’arroganza di chi si può dire il mercato lo ha “inventato”, visto dalle “colonie”?

Le rispondo con un nome. (Ne potrei citare a decine, preferisco però fare un esempio con un pittore scomparso), Jean Michel Basquiat.

Nonostante la simpatia umana che questo giovane morto a soli 27 anni può ispirare, ( nato disadattato, povero, negro, pure gay, in un paese dove non puoi avere speranze, cosa gli mancava…forse un cancro? Ha provveduto personalmente con la droga), la sua, chiamiamola pure pittura, resta pur sempre un esempio raro di pochezza ed insignificanza.

Siamo fermi ai disegni dei bambini dell’asilo infantile, un tempo si sarebbe detto “alle aste”, nulla di più. Il resto è ciò che vi ha immesso un misto sapiente di marketing, parole a vuoto e speculazione. Tuttavia, per i “narcotizzati” delle colonie, a guardare quella pittura ci troviamo di fronte a “capolavori” immensi.

Facciamo allora, per essere chiari davanti a chi sembra avere problemi oftalmici di non facile soluzione, un esempio tratto dalla letteratura.

Abbiamo ad esempio: “ Oh che bel castello, marcondirondello etc.”, una filastrocca, poi abbiamo una canzone, magari di Mogol-battisti: “ Fiori rosa fiori di pesco…etc”, ed infine abbiamo il poema dantesco. Francamente non vedo chi, sano di mente, potrebbe non solo accostare le tre espressioni “letterarie” ma addirittura esaltare la prima, la filastrocca! Bene, nella disamina critica delle opere visive contemporanee questo avviene di continuo, con la giustificazione che si tratta di “capolavori” d’arte sì, ma d’altro genere…

Pittori come Basquiat, Schnabel, CeciLy Brown, e molti altri, sono osannati come i massimi vertici della pittura del nostro tempo e degli ultimi decenni…( fanno i record alle aste e dunque sono i geni contemporanei…)

Una insopportabile mistificazione avallata dal mercato che ha registrato il pochissimi anni aggiudicazioni iperboliche per le opere degli artisti citati.

La discutibilissima teoria postmoderna ed alcune filosofie estetiche come ad esempio quella di Arthur C. Danto, si affannano nell’impresa di sublimare la decadenza e la stupidità pura ad “arte”, con risultati a mio avviso, risibili. Tutto questo rimane però, esempio chiaro di un dominio culturale che vorrebbe sorreggere attraverso concezioni artistiche e presunti valori, un sistema non solo artistico ma una intera visione esistenziale fondata su una ideologia ormai prossima al collasso.

Ci troviamo di fronte a filosofie “ad usum delphini”, che però soddisfano pienamente gli studiosi delle “colonie” pronti ad avallare acriticamente ogni teoria anche le più palesemente infondate.

(Continua)

24/04/2017, Antimo Mascaretti

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