TECNICHE DI RISVEGLIO PER ATHENA (VIII)

di Antimo Mascaretti

( continua…)

Dalla fine del secondo conflitto mondiale, in una caduta inarrestabile, siamo giunti al paradosso che si può esercitare la critica d’arte pur essendo totalmente ciechi, così si evince dall’atteggiamento di certi nostri presunti “studiosi” che mai avrebbero il coraggio di opporsi allo strapotere del pensiero anglosassone. Che dire? Una vera conquista scientifica!

Per restare nel concreto, trascrivo di seguito una “ricetta” che in teoria dovrebbe essere utile per chi ancora usa lo strumento dell’intelletto e quello dell’immaginazione sensibile: Si prendano a piacere due o tre opere di ciascuno degli autori sopra nominati, ora le si metta in bella mostra vicino a due o tre opere di altri pittori, scelgo a caso tra pittori che mi sono distanti per poetica e tecnica, così che non si possa dire che la mia è una scelta non obiettiva, prendiamo tre opere di Odd Nerdrum, ad esempio “Woman with Horse skull”; “The night”; “Sandra by the stone table”; e altre tre del nostro Riccardo Tommasi Ferroni: “Il giallo e il rosso”; “Desinare sul Gianicolo”; “Italia campione”; ho scelto opere in particolare per Tommasi Ferroni di un realismo onirico non molto caratterizzante i soggetti rappresentati, nel frattempo sarà utile pulirsi attentamente gli occhi con apposito disinfettante e, ad operazione ultimata, finalmente ci si accinga a guardare. Se a questo punto ci fosse ancora qualcuno che si sente di esaltare la “pittura” di Basquiat e compagni, sarà bene accompagnarlo alla più vicina clinica oculistica!

Ora per parlare seriamente, bisogna rendersi conto che è venuto il momento di non accettare più tanta arroganza e presunzione e che è ora che a ciascuno sia riconosciuto il vero valore. Quando al “valore” economico infatti, nessuno di questi teorici sembra voler rinunciare. Dopo tanta svalutazione di opere ed artisti, dopo tanta apparente indifferenza da parte dei teorici “rivoluzionari” che predicano una nuova maniera di sentire l’arte, quando si tratta di fare gli elogi e quindi avallare i responsi del mercato sui propri “cavalli da corsa”( che , guarda caso, sono sempre di provenienza americana o anglosassone o di altre nazionalità ma a patto che in quei Paesi siano stati accettati ed esaltati), tutto funziona secondo tradizione e consuetudine.

Chi nel 1945, vincendo il conflitto con le armi, ha avuto l’opportunità di estendere la propria influenza militare dapprima e successivamente politica ed economica dell’Europa “libera”, non poteva non imporre anche una nuova idea di cultura che non avesse riferimento con ciò che era stato il dominio europeo in questi settori prima del conflitto. L’ Europa era totalmente distrutta e ghiotta in quel momento si presentava l’occasione di egemonizzare anche quegli aspetti della vita culturale nei quali, come nelle arti, la presenza americana a livello internazionale prima del 1945 era stata limitatissima e pressoché nulla. L’operazione fu condotta con molto rigore fino ad arrivare a mettere in una lunga “quarantena” durata decenni, due grandi artisti americani come Hopper e Wyeth proprio per il loro costante e ben visibile riferimento alla pittura europea più significativa. La “scuola di New York” (anche questo un falso storico), formata da un gruppo di artisti di diverso valore, ma accomunati dall’idea di distinguersi quanto più possibile dall’influsso dell’arte del vecchio continente, (che perdurava attraverso gli artisti europei rifugiati negli States per via del Nazismo), elaborarono poetiche molto aggressive in tal senso. La qualità delle opere è molto modesta se misurata col metro di un tempo, ma con “i nuovi criteri” sono ovviamente tutti “capolavori”. Forse solo Pollock è di fatto degno di rilievo, ma presenta una poetica molto diversa e distante da tutti gli altri. La sua pittura divenne ugualmente l’emblema della nuova arte americana nel mondo, una pittura che nasceva da un forte disagio psichico e forse anche da un atteggiamento critico nei confronti di una società come quella americana, ma che divenne ugualmente un mito di riferimento per quel dominio che ancora perdura.

La qualità della pittura di Pollock non si può discutere in questo contesto, basti però dire che nel giro di pochi anni, lo stesso autore, accortosi probabilmente della costante ripetitività cui la sua pittura di “pura percezione” lo costringeva, aveva deciso di modificarne l’impianto con un forte ed evidente ritorno alla significatività della figura. La morte per incidente stradale (un suicidio?) non ha permesso di valutare i successivi sviluppi di quella ricerca.

L’ arte di quegli artisti fu ad ogni modo, esaltata e teorizzata al fine di farne “l’icona dell’arte del mondo libero”, da opporre durante la guerra fredda, ad un’arte espressa dal regime dei Soviet (di impianto fortemente realistico e retorico a volte, come nel Nazismo di alcuni anni prima, ma il Fascismo va notato, ebbe un atteggiamento molto più libero nei confronti dell’arte e degli artisti, futuristi in testa).

Nel mondo attuale, l’appiattimento generato dal mercato statunitense attraverso un conformismo ad una serialità monotona, sembra aver ridotto la pittura (e l’arte in genere) ad un declino costante ed inesorabile…

“…L’arte è, dal lato della sua suprema determinazione, per noi una cosa del passato”. Questo celebre passo tratto dall’”Estetica” di Hegel e molto spesso citato, sembra liquidare l’arte come qualcosa di non più vivo.

Dai tempi del pensiero hegeliano tuttavia, nulla è stato più vivo e discusso che l’arte e su quel celebre passo sono nati centinaia di saggi critici che analizzano il significato profondo dell’affermazione del filosofo, a sostegno delle più svariate interpretazioni. Certo è innegabile che nei tempi attuali l’arte appare decisamente debole e marginale.

Tuttavia se prendiamo in considerazione le filosofie dell’arte contemporanea, quell’affermazione dell’estetica hegeliana costituirebbe per l’arte l’inizio della conquista di una vera autonomia dalla stessa filosofia. In altre parole, acquista una libertà (e qui sta l’origine di tante mostruosità!) di cui mai precedentemente nella storia aveva potuto godere. Il pensiero filosofico di Arthur C. Danto, filosofo americano negli ultimi decenni molto tradotto anche in Italia, può essere senza dubbio preso ad esempio di un diverso approccio di affrontare questi argomenti eternamente dibattuti. Danto, che insegna alla Columbia University, è stato in passato anche pittore e negli ultimi anni ha pubblicato, con attenzione internazionale sempre crescente ( e ti pareva…), molti saggi ed articoli su riviste specialistiche, saggi che hanno suscitato interesse ma anche critiche molto serrate. Nella sua opera complessiva debbo dire (almeno per i lavori che ho avuto modo di leggere), mai mi è stato possibile estrarre con sicurezza il significato che attribuisce, prendiamo ad esempio in “The abuse of beauty”, ai termini “estetica”; “filosofia dell’arte”; e persino al termine: “bellezza”.

Naturalmente non possiamo in questo breve dialogo affrontare tutta la complessità dei temi che Danto affronta nei suoi saggi e che in verità, non mi sembrano così determinanti e definitivi, senza “l’autorevolezza” conferita al pensatore americano da un sistema che si giova di una collaudata “non reciproca referenzialità” efficace almeno per un’ampia diffusione internazionale (a senso unico) di un pensiero decisamente non rigoroso.

(Continua)

24/04/2017, Antimo Mascaretti

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