TECNICHE DI RISVEGLIO PER ATHENA (XXII)
di Antimo Mascaretti
( continua…)
Ritengo che gli artisti siano spesso vittime, (a volte consapevoli ), e intanto milioni di euro all’anno passano di mano senza alcuna imposizione fiscale. Ciò è chiamata qui, nelle colonie, “attività culturale”.
L’ Artista che per anni e anni vive quella vita onerosa e frustrante, aspira per paradosso, come fosse una liberazione, all’ altra forma di sfruttamento molto comune : il contratto con un mercante o una galleria.
Uno sfruttamento che dura la durata stessa del contratto, ma che almeno permette all’ artista di avere qualcosa in cambio, di solito qualche spicciolo in cambio di molte opere all’anno. L’ artista potrà però contare su una notorietà crescente alimentata, di necessità, dal mercante per poter incrementare le quotazioni di vendita delle opere avuto in cambio contrattualmente.
Così, schematizzando, vive l’artista che tenta di emergere, ed anche gran parte di quelli già emersi, ma non abbastanza per poter sopravvivere del loro lavoro.
Va menzionato infine, per correttezza, di informazione, quel numero consistente ma non troppo, di artisti ormai noti che sono riusciti ad affrancarsi dalla necessità di avere un mercante o che hanno sufficiente forza contrattuale per stabilire loro stessi i prezzi delle opere.
Senza neppure prendere qui in esame le problematiche che l’arte dovrebbe porre all’ artista, da quanto ho descritto con le necessarie approssimazioni, si può capire come tutto quel mondo appartiene a pieno titolo alla sfera dell’inautentico.
Nulla di quanto ho descritto riguarda la vita interiore dell’artista, nulla che possa riguardare il suo lavoro nella sua essenza, e le difficoltà intellettuali che quel lavoro, assai arduo, comporta. Ciò che fin qui ho descritto, appartiene all’arida esistenza pratica di chi vuol essere o si sente artista, ma ha la logica di un commerciante strozzato dalle difficoltà.
Ma ho chiamato queste pagine “diario filosofico/estetico”, è dunque necessario riportare la cronaca miserevole della vita difficile dell’artista a categorie più generali per esaminare eventuali possibili alternative o vie di salvezza.
L’aumentato numero di artisti o praticanti un’arte è dovuto va detto, non al presunto aumento generale della cultura come molti ottimisti ipotizzano, che favorirebbe le espressioni di molte anime sollevate dalla semplice vita bruta, ma è stato determinato invece, dal venere meno progressivo della necessaria specializzazione tecnica. Di più, da qualche anno, è venuta meno anche una qualsiasi separazione delle varie arti, come vedremo trattando specificatamente del concetto di “opera d’arte totale”.
Viviamo in un mondo per esemplificare, dove non vivono più idraulici professionisti o sono un numero irrilevante, ma centinaia e centinaia di persone che da un giorno ad un altro, “decidono di essere idraulici” senza mai aver visto un tubo, e di poter esercitare quella professione con nozioni approssimative quando va bene, o addirittura privi del tutto di nozioni di base, ma ricchi di sufficiente presunzione.
Se l’esempio degli idraulici si tramutasse in realtà, tutti in un contesto sociale, si accorgerebbero di una situazione paradossale, persino insostenibile, nel caso dell’arte e degli artisti, non solo nessuno si accorge della situazione abnorme, ma essendo oggi l’arte (l’arte di oggi), del tutto “irrilevante”, non si hanno reazioni di alcun tipo, tutto appare “moderno” anzi, “postmoderno”, insomma, non è nulla, e non c’è di che preoccuparsi.
L’arte sembra muoversi in una situazione di perenne costrizione, oggi ancor più di ieri, quando gli artisti, emarginati, erano assediati dalla miseria e dal bisogno.
L’arte di oggi è prigioniera dell’idea stessa di arte come una qualunque merce che la pone alla stessa stregua delle altre merci.
L’artista che deve competere su un mercato con la sua merce, attraversa tutte le vicissitudini negative da me descritte in quanto artista, ed in più, deve affrontare le difficoltà inerenti al mercato, spesso nella “clandestinità” sociale, potendo aspirare unicamente nella fase della sua eventuale affermazione, ad un riconoscimento che valorizzi il suo status.
L’artista quindi, “conforma” di necessità la sua arte alle richieste. Va la pittura perfetta, cerebrale, fatta con una lente da ingrandimento di tipo chirurgico, una finta “metafisica” diciamo, da “laboratorio”? Un’arte però fredda più del tavolo anatomico? Eccola pronta. Va la puttanata alla Cattelan? E chi sono io per essere da meno? Eccovi mille puttanate. Etc.
L’arte che ne deriva è propriamente “un’arte di regime” (altro che l’arte del periodo delle dittature!), E’ un’arte di regime perché si adegua al regime del dominio totale di mercato, e come arte di regime, è fiacca come sempre.
Quale salvezza è possibile ipotizzare al di fuori di un simile meccanismo perverso e totalizzante?
C’è salvezza là dove c’è sottrazione di merce al suo mercato seriale e ripetitivo. Si tratta però, di una via di salvezza puramente ipotetica, e da pochi praticabile, una salvezza apparente, perché consente di preservare l’atto creativo dalle costrizioni del nostro tempo e dalle esigenze obbligate, ma condanna l’opera all’anonimato. Si determina così, la “clandestinità” dell’opera liberata.
Se l’arte vive per sé, quella ipotizzata è, sia pure in negativo, una forma di salvezza.
Se invece l’arte ha una componente essenziale del suo valore nel riconoscimento collettivo dell’universalità delle emozioni che determina (e quella componente ce l’ha), la soluzione prospettata nega all’arte una componente essenziale per la sua realizzazione.
L’arte, nel mercato globale, deve necessariamente mutare il suo stesso essere, ed è ciò che è avvenuto negli ultimi decenni, perché ha finito per non aver più, con evidenza, senso e valore, in un contesto dove soltanto la rilevanza economica di un’opera sembra aver peso, senza nessun riguardo per la “qualità”, non potendo quest’ultima essere considerata, non essendoci più parametri oggettivi di riferimento. Dei canoni indiscutibili.
L’arte tuttavia, mantiene vecchie definizioni e vecchi significati, oggi svuotati e generatori a loro volta di equivoci anche divertenti in certi casi, il tutto per pura convenzione.
Le vecchie terminologie ad esempio, di “arte”, “valore spirituale”, “estetica”, “esperienza estetica”, “essenza dell’opera”, “forma”, “spazio”, etc. sono come scatole vuote riempite all’occorrenza con ciò che si vuole. Il vecchio significato di quei termini è scomparso quando il mercato modernamente inteso, ha assunto la centralità che tuttora detiene. L’arte è quanto vale.
E’ ipotizzabile una “inversione di rotta”, magari in un prossimo futuro?
Un mutamento radicale per il momento non appare neppure ipotizzabile.
Il prodotto artistico si affida, per non rimanere nelle secche della serialità anonima, a strumenti tipici del mercato: la pubblicità e l’evento sensazionale (creato ad arte).
Il prodotto artistico si è via via,” conformato” alle richieste del fruitore e al suo gradimento, così è avvenuto e avviene anche per tutti gli altri prodotti che appaiono sempre più simili tra loro, dalla concezione alla realizzazione. Capita di constatare agevolmente questo fenomeno ad esempio nei modelli di auto che appaiono sempre più palesemente simili (nella stessa fascia di riferimento, ovviamente).
Relegando l’originalità all’angusto spazio che inibisce una eventuale impossibilità di utilizzo, l’arte potrebbe trovare una via d’uscita in positivo, annullando se stessa nel design, nell’estetica della pratica oggettuale, del prodotto decorativo architettonico, negli aspetti marginali di abbellimento in genere, insomma dove la bellezza industriale conformata all’oggetto o progetto, è ancora in qualche modo realizzabile.
Ciò vorrebbe dire però, la sopravvivenza della sola arte “pratica”, dell’arte “utilizzabile”.
Ma le teorie filosofiche ed estetiche contemporanee rivendicano una diversa accezione del termine “arte”, proprio per superare la paralisi che è sopraggiunta negli ultimi decenni davvero desolanti…
Sì è così infatti, perché “allargando” a dismisura il significato della parola arte, si tenta di salvare l’esperienza estetica in ogni modo (perché ritenuta malgrado tutto, importante per l’esistenza), là dove ancora appare possibile, facendo sì che ogni realizzazione sia pure stramba, possa legittimamente assumere l’antico significato, un tempo consentito al solo prodotto artistico autentico. E’ una penosa soluzione…non trova?
Le teorie cercano di creare condizioni giustificative dell’esperienza estetica, (spesso idiota), che deve avvenire per forza con quel poco che c’è, e non analizzare magari il perché dell’impossibilità della creazione stessa, o la sua debolezza formale in un determinato risvolto esistenziale quale il nostro. Quella analisi non “converrebbe” a nessuno, non produrrebbe altrettanto danari quanto una “coglionata” autentica, venduta però da Shoteby’s o Christie’s!
(Continua)
21/08/2017, Antimo Mascaretti
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